È la peggiore siccità degli ultimi decenni. Campi inariditi e raccolti compromessi. Una vera e propria apocalisse, in alcune zone della Sardegna. Tant’è vero che tre giorni fa più di quaranta comuni dell’isola hanno chiesto alla giunta regionale (un centrosinistra guidato da un presidente, Francesco Pigliaru, indicato dal Pd) di proclamare lo stato di calamità naturale. Provvedimento che permette di mettere in atto misure straordinarie e di chiedere, per gli indennizzi agli agricoltori e agli allevatori danneggiati, l’intervento finanziario del governo, da aggiungere ai fondi di un bilancio regionale ormai sempre più in affanno.

Le campagne sono a secco dal nord al sud dell’isola. L’emergenza siccità sta creando grossi problemi soprattutto alle aziende agricole, che devono fare i conti con drastiche restrizioni idriche. Dopo mesi di piogge nulle o molto scarse, i bacini che riforniscono gli acquedotti sono infatti quasi tutti a secco. A denunciare la situazione sono stati, nei giorni scorsi, Mauro Pili, deputato di Unidos (un partito di centro a coloritura autonomista), e Gianluigi Rubiu, capogruppo dell’Unione democratico cristiana (Udc) in consiglio regionale. Entrambi hanno sollecitano governo e Regione Sardegna a dichiarare lo stato di calamità naturale, immediatamente seguiti da decine di sindaci. «Nel nord Sardegna – spiega Pili – i bacini del fiume Temo e quelli del Cuga e del Bidighinzu sono al 25 per cento della capacità di invaso, nel Sulcis-Iglesiente la diga di Punta Gennarta è al 18 per cento, mentre Medau Zirimillis è al 30 per cento. Nella piana della Nurra, nel nord dell’isola, l’acqua è razionata tre volte alla settimana dal 1° aprile al 31 agosto, nonostante gli agricoltori avessero avuto assicurazioni per le colture estive come il mais. Si stima una perdita di almeno il 40 per cento delle produzioni». «Nel Sulcis non si è nemmeno potuto seminare il mais perché manca ancora il piano irriguo, che la Regione Sardegna non ha ancora approvato – denuncia Pili – Siamo di fronte a una gestione fallimentare della risorsa idrica, sia per la scarsa o inattendibile pianificazione sia per la superficialità con la quale ci si rapporta al sistema agricolo». Sulla stessa linea il capogruppo dell’Udc. «Gli agricoltori sardi stanno pagando un prezzo altissimo: dopo un inverno terribile con pochissime precipitazioni e con gelate tardive, ora temperature oltre le medie stagionali e siccità. Ho presentato un’interpellanza urgente all’assessore all’Agricoltura. Serve un intervento immediato e urgente, con risorse economiche certe e un progetto per l’infrastrutturazione irrigua dei poderi».
Una situazione molto grave, che ha due cause principali. La prima è il mutamento climatico, che in Sardegna si è tradotto in una drastica riduzione delle piogge, documentata, ormai in maniera chiarissima, da tutte le rilevazioni ufficiali. Il secondo è la gestione della risorsa acqua, che è affidata ad Abbanoa, ente strumentale della Regione Sardegna al quale sono associati quasi tutti i comuni. Dal 2005 Abbanoa ha sostituito gli enti di gestione controllati dalle comunità locali. L’obiettivo era quello di razionalizzare il governo delle acque centralizzandolo a livello regionale in un’unica struttura.

A distanza di dodici anni, però, i risultati sono tutt’altro che positivi. E non sono pochi i comuni che minacciano di uscire da Abbanoa per tornare a fare da soli, come prima del 2005.
Alla siccità è poi legato il problema degli incendi. La Sardegna è una delle regioni italiane più a rischio. Ogni estate migliaia di ettari di coltivazioni, di boschi e di macchia mediterranea vanno in fumo. Con danni enormi. Ora le campagne devastate per la mancanza di acqua rendono il pericolo ancora più grave.

E poi, sul medio termine, c’è lo spettro della desertificazione. Come ha denunciato il Wwf il 17 giugno durante la Giornata mondiale Onu contro la desertificazione, oggi circa un quinto dell’Italia è ritenuto a rischio: in almeno il 41 per cento del territorio nazionale il deserto avanza. Particolarmente colpite sono le regioni meridionali: Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia. E ovviamente la Sardegna. Secondo gli scenari ipotizzati dal Nucleo di ricerca contro la desertificazione dell’università di Sassari, entro fine secolo si stimano nell’isola incrementi di temperature fra i tre e i sei gradi, con una forte riduzione delle precipitazioni, soprattutto nei periodi estivi. Difficile continuare a fare finta di niente.