Con la fine dello stato di emergenza non tutti si avviano a recuperare la normalità perduta a causa della pandemia. Per chi è ospite delle residenze sanitarie assistenziali (le Rsa) e di quelle per adulti disabili (le Rsd) anche dopo il 31 marzo cambierà ben poco. Ricevere visite e mantenere un minimo di relazioni sociali rimarrà assai complicato. Le visite nelle Rsa continueranno ad essere contingentate e richiederanno il green pass «rafforzato» ottenuto per vaccinazione o per guarigione nei sei mesi precedenti.

L’obbligo rimarrà valido anche dopo il 30 aprile, data in cui la necessità di green pass rafforzato decadrà per molte altre attività per cui oggi è indispensabile. Per le visite in ospedale, Rsa e Rsd, infatti, il green pass rafforzato rimarrà in vigore fino a dicembre 2022. Oltre al pass, nelle residenze rimarranno in vigore tutte le limitazioni che finora hanno ridotto la possibilità di interazione tra gli ospiti e i parenti, come la durata delle visite dei familiari. «In molte strutture le visite durano una ventina di minuti» racconta Claudia Sorrentino, la cui madre è residente in una Rsa del centro Italia «nonostante secondo le ordinanze del ministero della salute dovrebbero essere garantiti almeno quarantacinque minuti di visita».

CON ALTRI PARENTI di ospiti di Rsa e Rsd, Sorrentino ha dato vita al Coordinamento Nazionale di Comitati e/o Associazioni di Tutela dei Diritti delle persone non autosufficienti, delle Famiglie, delle vittime nelle Rsa e dei lavoratori socio sanitari, una rete nata dalle decine di comitati locali, associazioni e sindacati che da due anni cerca con fatica di garantire agli ospiti e ai loro familiari i diritti essenziali. «Spesso gli incontri si svolgono in ambienti simili a quelli dei colloqui carcerari, con vetri divisori che impediscono il contatto e tavoli per aumentare la distanza. Chiunque può immaginare cosa voglia dire incontrare in queste condizioni una persona con una disabilità grave o Alzheimer. Per molte persone, il contatto fisico con il prossimo è l’unico modo di interagire con l’ambiente esterno. Senza, il colloquio diventa una tortura».

«L’OBBLIGO DI GREEN PASS rafforzato ha ulteriormente complicato le cose» spiega Silvio. È un nome di fantasia: molti parenti faticano a esprimersi pubblicamente perché temono le ripercussioni sui propri cari ricoverati in caso di contrasti con le strutture. «Non abbiamo nessuna contrarietà ai vaccini. Ma ci sono anziani che non hanno potuto vaccinarsi per la loro condizione di salute. Mia madre ottantacinquenne, ad esempio, a causa di ictus e trombosi non ha potuto ricevere la dose. Finché si poteva visitare le Rsa con il tampone negativo ha potuto vedere mio padre. Ma con il green pass rafforzato questo è impossibile e ormai da molti mesi non si incontrano di persona».

Sembra lontanissima la rappresentazione trasognata della «stanza degli abbracci» dipinta da Giuseppe Tornatore negli spot del 2021. In realtà, nei due anni della pandemia, le residenze sanitarie non hanno saputo adattarsi alle condizioni del virus in modo da garantire allo stesso tempo la sicurezza degli ospiti insieme alla loro socialità.

NELLA PRIMA ONDATA, nelle Rsa si è verificata un’ecatombe. Colpa del virus, certo, ma anche di una gestione dissennata della crisi da parte delle autorità sanitarie documentata da inchieste giudiziarie. A molti operatori fu impedito di indossare mascherine e nelle Rsa furono spostati anziani ricoverati in altri ospedali senza verificarne la negatività al virus. Che si diffuse proprio dove era ospitata la popolazione più vulnerabile.

Garantire la sicurezza degli ospiti blindando le strutture però non è una soluzione. «Per chi si trova in una Rsa o in una Rsd, la relazione sociale non è un lusso a cui si possa rinunciare» riprende Sorrentino. «È la componente principale dell’assistenza, che rappresenta la funzione primaria di queste residenze: se non sono in grado di garantirla, viene meno la loro stessa funzione. Noi parenti siamo parte fondamentale della loro cura e salute e invece veniamo trattati come problemi da non far avvicinare. Inoltre, da due anni non possiamo vedere le camere dove dormono e vivono. Questo è molto pericoloso: gli unici a poter controllare lo stato dei reparti eravamo noi. Ora nessuno sa più se dentro viene rispettata la loro dignità».

LA FUNZIONE RIABILITATIVA dei legami affettivi è attestata anche dagli studi (pochissimi) che hanno documentato l’impatto della pandemia sulle Rsa.

Uno studio dell’Istituto Auxologico di Milano ha mostrato un aumento della mortalità quadruplicata anche tra gli ospiti negativi delle Rsa, nei mesi della massima crisi: tra le cause, oltre all’elevato numero di casi sfuggiti ai tamponi, lo studio cita il declino psico-fisico dovuto alla privazione delle interazioni con familiari e volontari. Avere un quadro più ampio dell’impatto della pandemia nelle Rsa però è difficile: quando l’Istituto Superiore di Sanità ha provato a stimare il fenomeno, solo il 41% delle strutture ha fornito i dati.

Il governo ha provato a intervenire per garantire una cauta riapertura delle strutture alle visite con un’ordinanza del maggio del 2021, in cui si affermano i bisogni «psicologici, affettivi, educativi e formativi» di chi vive nelle residenze, affinché «il protrarsi del confinamento (…) non debba mai configurare una privazione de facto della libertà delle persone». È l’ordinanza in cui si raccomandano visite di 45 minuti. L’organizzazione delle residenze però è responsabilità regionale. Peraltro, la stessa ordinanza lascia al direttore della struttura la facoltà di adottare regole più restrittive.

Così, dopo la prima ondata poco o nulla è cambiato. Anche un sollecito del ministero «al fine di garantire in sicurezza il diritto di visita all’interno delle citate strutture» inviato alle Regioni alla fine di luglio ha ottenuto scarsi risultati.

Lo conferma anche il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma. «Quando pongo il problema agli assessori alla salute delle regioni, la risposta che ottengo è sempre la stessa: al di là delle ordinanze, il loro potere impositivo sui direttori sanitari delle strutture è scarso. E i direttori preferiscono tutelarsi con norme di massima cautela, che rendono più facile gestire le residenze. Però – aggiunge – si potrebbe agire sul lato dell’accreditamento».

Oltre l’80% delle residente assistenziali, infatti, è privato e deve accreditarsi presso il Servizio sanitario nazionale per svolgere la loro funzione e incassarne i relativi profitti. «Le Regioni – spiega Palma – potrebbero adottare criteri di accreditamento meno ragionieristici, che vertano anche sulle disponibilità delle strutture al controllo di organismi indipendenti o sulla loro capacità di garantire l’apertura all’esterno in condizioni di sicurezza».

NORME NAZIONALI più vincolanti e criteri di accreditamento più severi figurano anche tra le richieste che il Coordinamento porterà nelle piazze con una giornata di mobilitazione nazionale il 30 marzo, vigilia della «liberazione» (per gli altri). Negli stessi giorni, sarà in Italia il Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Il Comitato ha messo il nostro Paese – insieme ad altri sette – tra quelli da monitorare nel 2022. E stavolta, oltre alle carceri, anche le Rsa saranno oggetto di un attento esame.