Alieu ha 29 anni arriva dal Gambia, prima della guerra lavorava in Libia come muratore. Ganda, 26 anni originario della Costa D’Avorio, faceva invece il decoratore. Si sono conosciuti la prima volta in mare, sul barcone, verso l’Italia. Poi, in un mese (dal 5 aprile al 5 maggio 2011), Lampedusa, Bari e Settimo Torinese. Hanno vissuto ogni tappa del calvario del «Piano Emergenza Nord Africa», dal limbo dei centri accoglienza alle notti in strada. Ora, si sono ritrovati all’ex Villaggio Olimpico di Torino, dove sabato hanno occupato insieme a oltre trecento, tra profughi e rifugiati, due palazzine abbandonate, uno dei tanti tasselli di quel patrimonio che dopo l’«ubriacatura» del 2006 è rimasto in disuso. «Ho bisogno di un lavoro e di una residenza, non posso più stare con le mani in mano senza che mi siano riconosciuti i diritti di un cittadino. Ma il mio sogno – racconta Alieu – è andarmene via da Torino, via dall’Italia».

Una piccola piazza divide le palazzine dai colori vivaci che già si scrostano dai muri. Un tempo, qui lungo via Giordano Bruno, c’erano i mercati generali dell’ortofrutta, adesso gran parte dell’area è inutilizzata, dopo i Giochi invernali – quando gli edifici erano abitati dagli atleti – è stata ceduta dall’amministrazione comunale al Fondo Città di Torino, gestito da Prelios e partecipato da Intesa Sanpaolo. Tre palazzine sono rimaste invendute e inutilizzate fino a sabato quando i migranti le hanno occupate con l’aiuto dei militanti dei centri sociali Askatasuna e Gabrio e degli universitari della Verdi 15.

I migranti dopo la chiusura dei centri d’accoglienza, che in Piemonte fino a febbraio ospitavano 920 profughi, hanno dormito in giro per la città, sotto i portici, nelle stazioni o nei vagoni dei treni. «Il Piano Nord Africa – spiega Aboubakar Soumahoro, movimento rifugiati e Profughi – è costato complessivamente un miliardo e 300 milioni di euro e non ha risolto nulla, è stato utile “economicamente” solo ai businessman dell’accoglienza. All’Italia manca una legge sull’asilo politico.

Noi non chiediamo la luna, ma semplicemente l’applicazione di quel diritto all’accoglienza sancito nelle carte delle Nazioni Unite, ma puntualmente e sistematicamente calpestata dalla politica. Qui, al Villaggio Olimpico, non ci auto-ghettizzeremo». Intorno ai profughi si sta stringendo una comunità eterogenea, associazioni laiche e cattoliche, la Pastorale dei migranti.

Ai 300 attuali profughi e rifugiati, se ne aggiungeranno altrettanti ancora in lista. Ci sono ragazzi e famiglie di Sudan, Ciad, Ghana, Nigeria, Mali, Niger, Gambia, Costa D’Avorio, Tunisia, Bangladesh, Burkina Faso. Chiedono residenza e lavoro. «La lotta è appena iniziata – spiega Andrea di Askatasuna – e gli aspetti positivi sono molti, dalla volontà di autogestione per la ricerca di un’integrazione vera alla condivisione di spazi tra nazionalità diverse. In calendario ci sono già diverse iniziative, a partire dal 10 aprile quando ci muoveremo per andare a incontrare la presidente della Camera Laura Boldrini, ospite di Biennale Democrazia».

Quando era portavoce per i rifugiati presso l’Alto commissariato dell’Onu aveva accusato il Comune di Torino, con una missiva a Chiamparino, di far troppo poco per i profughi. Il 19 aprile ci sarà una grande assemblea pubblica di rifugiati e richiedenti asili d’Europa, arriveranno dalla Francia e dalla Svizzera.