Le tre regole auree anti-Covid estese e potenziate: igiene delle mani, obbligo di mascherina anche all’aperto, distanziamento interpersonale, con la raccomandazione di uscire immediatamente dagli assembramenti che si dovessero formare. Non dovrebbe esserci molto di più, tra le nuove misure governative. Nessuna limitazione degli orari d’apertura della ristorazione o dei bar, nessun lockdown, neppure selettivo, per il momento. Solo multe più salate a chi non rispetta le regole, però, forse un tetto massimo consentito di partecipanti a feste private e riunioni, e i militari impiegati nell’operazione «Strade sicure» inviati come deterrente anti assembramenti nelle zone più a rischio delle grandi città.

LA PAROLA CHIAVE infatti è «cautela». Sia per un verso, perché la recente impennata della curva dei contagi esige tutte le precauzioni del caso, onde evitare la vera seconda ondata del virus (i dati di ieri, più contenuti per via del ridotto numero di tamponi, sono però almeno sintomo di un rallentamento momentaneo), sia per l’opposto. Perché la crisi economica e sociale subita fin qui dagli italiani e i cupi scenari ipotizzati in caso di recrudescenza dell’epidemia, contenuti nella bozza della Nota di aggiornamento al Def presentata ieri sera in Consiglio dei ministri, consigliano al governo di procedere a piccoli passi con le nuove misure restrittive.

INUTILE POMPARE acqua nei mulini del centrodestra, in questo momento, ragionano a Palazzo Chigi. E soprattutto, come ha spiegato il ministro della Salute Roberto Speranza intervistato da Lucia Annunciata, «la sfida di fondo dev’essere quella della persuasione e della consapevolezza perché non possiamo assegnare un poliziotto per ogni persona». Su questa linea di pensiero si sono mossi i ministri riuniti ieri in Consiglio fino a notte per discutere le bozze dei due Dpcm che questa mattina saranno presentati da Speranza alla Camera (alle 9,30) e al Senato (alle 12,30) per raccogliere l’opinione dei gruppi parlamentari e tornare poi in Cdm, forse stasera stessa o domani, per la stesura finale del documento. Uno dei decreti, che il premier Conte dovrà firmare entro domani, servirà a prorogare fino al 31 gennaio l’attuale stato di emergenza in scadenza. Il secondo, molto “soft” per il momento, dovrebbe solo disegnare una “cornice” alle norme che potrebbero essere adottate dalle Regioni nelle prossime settimane.

A COMINCIARE DAL DIVIETO di introdurre disposizioni locali meno rigide di quelle nazionali, come avvenne durante la fase 2 con l’apertura dei locali in Calabria o delle discoteche in molte regioni. Ne hanno parlato con i governatori, i rappresentanti dell’Anci e dell’Unione delle province, riuniti da remoto ieri sera, prima del Cdm, Speranza e il ministro per gli affari regionali Boccia, nel tentativo di trovare una sintesi tra orientamenti opposti e contrari come quello “permissivo” del presidente della Liguria Toti e quello “prudente” del suo omologo campano De Luca. Il primo insiste perfino per evitare l’obbligo delle mascherina anche all’aperto, e chiede «che il governo lasci alle Regioni la facoltà di emanare ordinanze proprie, sia migliorative sia restrittive».

Il secondo, preoccupato perché la Campania si è assestata al top delle regioni dove il contagio corre più veloce, ha chiesto aiuto alla ministra dell’Interno Lamorgese per poter utilizzare anche sul proprio territorio l’esercito al fine di far rispettare le regole ed evitare assembramenti nelle zone della movida: oltre ai dpi già d’obbligo anche all’aperto da oltre una settimana nella regione, De Luca infatti ha firmato una nuova ordinanza per limitare fino alle 23 l’orario di apertura di ristoranti, locali, gelaterie, pasticcerie e bar nei prossimi otto giorni. Una decisione che non è piaciuta al sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che ha attaccato il governatore soprattutto per il «colpo di mano»: «Prima di arrivare a queste misure bisognerebbe iniziare a coinvolgere i territori, i sindaci, le categorie professionali. E invece – sostiene De Magistris – quello che è drammaticamente vero è che si arriva ad adottare queste misure in maniera antidemocratica e senza che sul piano sanitario sia stato fatto nulla in questi sette mesi. Con queste ordinanze – conclude il sindaco – consegneremo a breve molti esercizi commerciali alla mafia».

ARRIVA POI UN ACCORATO appello al governo affinché non infierisca con ulteriori restrizioni sul mondo del live entertainment già così tanto penalizzato dalle norme anti contagio (il 10 ottobre a Milano si svolgerà la prima mobilitazione dei lavoratori dello spettacolo con l’iniziativa «Bauli in piazza», organizzato dal movimento #NoiFacciamoEventi)  dal vicesindaco e assessore alla Cultura di Roma Luca Bergamo e altri suoi omologhi, tra i quali gli assessori di Milano, Napoli, Genova, Torino, Firenze, Cagliari. Chiedono «di ponderare con grande equilibrio eventuali nuove restrizioni destinate alle iniziative culturali e spettacolari che si svolgono al chiuso», prendendo «spunto dalle parole del Commissario Europeo Paolo Gentiloni che sottolinea la necessità di dare priorità alla sfida costituita dalla “rinascita culturale”».