Lavoro autonomo all’ordine del giorno ieri al tempio di Adriano a Roma dove Confprofessioni ha organizzato un incontro sul «Jobs Act» per le partite Iva. «Finalmente si guarda ai lavoratori autonomi in quanto tali e non quali diversamente dipendenti – ha detto Andrea Dili, presidente di Confprofessioni Lazio – È una fase importante perché il Ddl e la carta universali del lavoro della Cgil segnano una svolta della politica e del sindacato verso questo mondo».

Mai come oggi si parla in Italia di lavoro autonomo e indipendente. C’è chi lo identifica con la punta più avanzata dell’innovazione, chi ne denuncia l’emergenza legata ai bassi redditi e al peso insostenibile di fisco e previdenza nell’assenza di diritti sociali. In generale, se ne parla. Al lavoro autonomo è riconosciuta una centralità, visto anche che interessa precari e professionisti più giovani che vedono nella partita Iva uno strumento ambivalente di auto-impiego e anche auto-sfruttamento. Un dibattito incessante emerso ieri durante la tavola rotonda alla quale erano presenti, tra gli altri, Maurizio Del Conte, estensore del Ddl e presidente della nuova agenzia delle politiche attive Anpal. C’era il segretario generale Cgil Susanna Camusso, Cesare Damiano (presidente commissione lavoro alla Camera) e di Maurizio Sacconi (presidente di quella del Senato). Tutti hanno concordato che sul testo bisognerà intervenire sul fronte previdenziale e sul welfare.

L’iter parlamentare di un provvedimento conquistato dai movimenti dei freelance inizierà dal Senato. Sacconi ha precisato che «anche i liberi professionisti devono essere oggetto del provvedimento». Il Ddl è, al momento, un testo a geometria variabile che riconosce diritti nel campo della malattia e della maternità alle partite Iva della gestione separata e non parla dei liberi professionisti. A questi ultimi riconosce l’accesso ai fondi Ue e una tutela contro i ritardi di pagamento attraverso il ricorso problematico a una forma di assicurazione privata. Alla base c’è una confusione sulla platea del lavoro autonomo. La precisazione di Sacconi farà discutere.

Un altro assente è l’equo compenso. Misura non certo facile da istituire nel lavoro autonomo, rappresenta un’esigenza per molte professioni, a cominciare dai giornalisti. La stessa Cgil lo prevede nella sua Carta, agganciandolo ai minimi dei contratti nazionali, accompagnandolo con la richiesta di un sostegno al reddito che non è tuttavia un reddito minimo.

Sul punto non c’è chiarezza tra il Pd e il governo. La deputata Pd Chiara Gribaudo ha escluso che l’equo compenso possa essere previsto dal Ddl. Il sottosegretario Bobba ha esposto la linea del governo: “L’equo compenso per il lavoro autonomo è improprio – ha detto – Questa misura è per il lavoro dipendente, i liberi professionisti stanno sul mercato”. Questa tesi, tutta da dimostrare, cancella l’emergenza sociale provocata dai redditi bassi e da aliquote previdenziali insostenibili tra i professionisti. In più rafforza il dualismo tra lavoro dipendente e autonomo, smentito più volte in un mondo dove i confini sono saltati e le identità lavorative eterogenee e comunicanti.

Rigida resta la distinzione tra le tutele nel mercato e quelle nella società. Le partite Iva continuano ad essere intese come “imprenditori di se stessi”, sebbene l’articolo 1 del Ddl le riconosca come “lavoratori”. Un altro nodo che verrà al pettine è quello della previdenza. Gribaudo ha sostenuto che la riduzione dell’aliquota della gestione separata dal 27,72% al 24% – storica battaglia dei freelance – non è presente nel Ddl perché sarà contenuta nella riforma delle pensioni. Damiano ha invece auspicato un intervento del governo nella prossima legge di stabilità per alleggerire i circa 200 mila autonomi da questo peso. Camusso è stata la più radicale e ha colto il punto: la gestione separata non ha senso di esistere se non garantisce prestazioni universali – ha detto – E’ necessario una riunificazione del sistema previdenziale, distinguere la previdenza dall’assistenza e pensare a quote di solidarietà finanziate dal sistema fiscale”. Una tesi sostenuta anche dai freelance di Acta e da quelli raccolti nella coalizione 27 febbraio. Insomma, il sistema contributivo non funziona, e bisogna cambiarlo per evitare l’esplosione di una bomba sociale.

Bobba ha messo le carte in tavola ed è sembrato rispondere anche al presidente dell’Inps Boeri: il governo non ha intenzione di fare una riforma di sistema. Prevista la flessibilità in uscita per correggere uno dei numerosi errori della Fornero. Per il governo il Jobs Act ha messo le cose a posto: avrebbe invertito la tendenza alla moltiplicazione dei contratti precari imponendo un contratto a tempo indeterminato, com’è noto senza articolo 18. I dati statistici dimostrano che questo contratto è usato per il part-time e le trasformazioni di vecchi contratti. In Italia non c’è nuova occupazione e quindi nuovi contributi che vanno a rimpinguare le esauste casse dell’Inps o della casse private.

Bobba ha auspicato invece che questi “nuovi” contratti correggeranno il fallimento del sistema contributivo. Inoltre, per rendere sostenibili le 19 casse private si parla della costituzione di un «fondo intercategoriale» per sostenere la «bomba demografica» in arrivo: le partite Iva «povere» non reggono la pressione previdenziale, mettendo a rischio il sistema. Nel gelo generale si è capito che nessuna soluzione generale è in vista.

*** Dossier: Chi tutela i diritti del lavoro autonomo? A cura di Roberto Ciccarelli

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