Ogni volta la stessa storia. Avviene una catastrofe e, dopo l’immediata dimostrazione di grande solidarietà tipica dei momenti successivi alla tragedia, arriva sempre il momento in cui non si sa più cosa bisogna fare. O meglio, si sa come si comincia ma non si sa quando né se si finirà mai: si nomina un «commissario all’emergenza», gli si attribuiscono poteri più o meno straordinari, dal Parlamento cominciano a spuntare fuori leggi e decreti che poi si convertono in ordinanze, direttive, note attuative. Accade a ogni terremoto, a ogni alluvione, a ogni frana, a ogni disgrazia che cambia la storia e la geografia del nostro paese.

È almeno dal sisma di L’Aquila (2009) che, a un certo punto del dibattito – mentre le operazioni per il ritorno alla normalità procedono quasi sempre a rilento – tra comitati, esperti e talvolta anche sindaci emerge la necessità di poter contare su regole certe.

Ma questo è impossibile.

In Italia, infatti, non esiste una legge sulle emergenze: non c’è un piano prestabilito e ogni volta si decide sul momento come bisogna comportarsi. Si stabilisce un modello più o meno realistico e poi si comincia a far di conto per capire che cifra dovrà sborsare lo stato.

Sfogliando il rapporto «Natural disaster in Italy: evolution and economic impact» compilato da Prometeia con le stime dell’Associazione delle organizzazioni di ingegneria e di consulenza tecnico-economica, dal dopoguerra al 2018, nel paese sono avvenuti 149 eventi calamitosi, per una spesa totale di 310 miliardi di euro.

 

Attualmente ci sono 10 stati di emergenza aperti per eventi sismici, 12 per questioni di tipo ambientale, sanitario o tecnologico e ben 122 per eventi meteorologici avversi.

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Ciascuna di queste emergenze ha un suo commissario (talvolta un ministro o un presidente di regione, più spesso una figura nominata dal governo) e una propria contabilità. E si va avanti per anni, seguendo uno schema ben consolidato: dopo le mille attenzioni delle fasi immediatamente successive alla tragedia, piano piano, i riflettori cominciano a spegnersi e i territori colpiti dal disastro sprofondano nel buio mediatico e negli abissi della perversione amministrativa.

Un esempio? Per i terremoti che hanno sconvolto l’Italia centrale tra il 2016 e il 2017, solo alla nomina del quarto commissario straordinario (Giovanni Legnini, gennaio 2020), per unanime ammissione, le questioni burocratiche hanno cominciato ad acquisire un senso.

Prima l’istantanea più efficace fu quella consegnata ai cronisti dal sindaco di Norcia Nicola Alemanno nell’inverno del 2019, quando si fece fotografare con il faldone delle leggi e delle ordinanze emanate dall’inizio dell’emergenza terremoto: un mucchio di carta alto quasi un metro.

La burocrazia è politica: ripercorrendo la storia prima del terremoto di L’Aquila e poi di quello dell’Appennino, è facile capire l’evoluzione del modo con cui si è cercato di far fronte all’emergenza.

Se in Abruzzo il potere è stato tutto concentrato nelle mani di un suolo uomo (l’allora capo della protezione civile Guido Bertolaso), nel 2016 il potere è stato diviso in talmente tante parti che ancora oggi risulta impossibile capire con precisione chi debba fare cosa. Un metodo per evitare guai troppo grossi ed evitare che le discussioni finiscano tra inchieste e tribunali, certo, ma che, allo stesso tempo, ha portato alla paralisi sul fronte della ricostruzione.

Riccardo Bucci, avvocato di Alter Ego – Fabbrica dei diritti, sostiene che tutto si potrebbe risolvere con un testo unico dell’emergenza. «È il modo migliore per garantire il funzionamento dei poteri democratici – dice – servirebbe una legge che preventivamente stabilisca, in via generale e a seconda del tipo di emergenza, quali strumenti lo stato può utilizzare per affrontare le criticità e quali strumenti può prevedere per assistere la popolazione colpita».

Chi ha fatto un passo formale verso questa direzione è la Cgil. È di questa estate, infatti, la prima proposta per ridurre l’impatto delle calamità naturali, mettendo in campo azioni di prevenzione e di salvaguardia.

«Il fatto che manchino delle linee guida nazionali ha portato all’emanazione di nuove norme a ogni evento calamitoso, procedendo per decreto e ricominciando ogni volta da capo – spiega Laura Mariani, responsabile per le politiche per la ricostruzione e la prevenzione antisismica e dei disastri naturali della Cgil –. Invece si potrebbe e dovrebbe attingere dalle esperienze pregresse, dagli errori e dalle tante situazioni positive per una legislazione uniforme che tratti i cittadini tutti allo stesso modo».

Da qui il testo intitolato «Proposte per una legge quadro per la riduzione dell’impatto delle calamità naturali, per la qualità delle ricostruzioni, per la salvaguardia dai rischi».

Le idee ci sono, le proposte pure. Adesso si aspetta qualcuno disposto a combattere questa battaglia là dove si potrebbe vincerla: in parlamento.