«Per esserci c’ero, ma se c’ero mi sono distratto». Oppure: «ho votato ma non sapevo che cosa stavo votando». Ancora – e questa suona più grave, ma anche più affine al vero – «ho seguito le indicazioni del partito». Storie sentite decine, centinaia di volte in questi anni. Storie che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Non è così. Ma qui non siamo nel “frame” politico-narrativo della favoletta sulla nipote di Mubarak. Qui stiamo parlando di altri interpreti – da Stefania Pezzopane a Felice Casson, da Sergio Zavoli a Vannino Chiti fino alla giornalista anticamorra Rosaria Capacchione – e di un’altra storia, se possibile ancora più misera e squallida, che comporta un giro d’affari stimato per il 2013 in 120 miliardi di euro (9 dei quali finiscono all’Erario: il gioco d’azzardo. Queste tre formule di auto-assoluzione: «ero distratto», «non sapevo«, «ho seguito una direttiva»che sottintendono però un’unica presa di distanza non dal provvedimento in quanto tale, ma dalla responsabilità pubblica di averlo votato insieme a 111 senatori Pd il cosiddetto «emendamento salva-slot» presentato nel decreto «salva Roma» da Federica Chiavaroli del Nuovo Centro Destra, quello che il segretario del partito Renzi «una porcata» in un’intervista a Vita.it. Eppure, in aula il provvedimento era diventato oggetto di dure critiche da parte del M5S e di esponenti del centronistra. Se ne parlava sui giornali, tanto che l’emendamento sembrava essere stato ritirato. Come bambini presi con le dita nella marmellata, i senatori PD prima hanno votato «sì» poi si sono premurati di nascondere le dita. Ma questo solo dopo la durissima reazione di Renzi, sollecitato dal Movimento NoSlot (www.nostlot.org). Ma cosa prevede di tanto grave questo provvedimento? Perché con tanta solerzia i senatori del PD (solo 4 i «dissidenti») si sono trovati a votarlo? Perché, infine, ha suscitato reazioni a non finire nell’opinione pubblica noslot, tra i sindaci, i presidenti di regione e gli ammistratori locali?

L’emendamento prevede una cosa tanto semplice, quanto perversa costruita per rompere il lavoro delicatissimo e prezioso condotto quest’anno da cittadini, associazioni e istitutizioni per giungere alle Leggi Regionali No Slot di Lazio, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Abruzzo e alle altre che si stanno discutendo (Calabria, Sardegna). L’emendamento è stato pensato per colpire queste iniziative dal basso. In presenza di interventi regionali o comunali che regolamentino in forma restrittiva l’azzardo legale (come acutamento lo definisce la Legge regionale No Slot approvata all’unanimita in Lombardia nell’ottobre scorso) e qualora questi interventi determinino una minore entrare per l’Erario (per esempio concedento aiuti o sgravi fiscali ai bar che vogliano dismettere le slot machine), la regione o l’ente si vedrà infatti ridurre gli «ordinari trasferimenti statali». Un ricatto in piena regola e un messaggio forte e chiaro lanciato dal Senato all’industria del gambling: più lotti o lotterai contro l’azzardo come amministratore locale, meno riceverai dallo Stato che, pur riconoscendo dal 2012 la «ludopatia» come malattia a tutti gli effetti, a causa del tuo impegno per contrastarla ci perde soldi.

La votazione è stata un fulmine a ciel sereno, inaspettato anche da quei deputati dello stesso Pd che da mesi stanno lavorando per calendarizzare un voto importantissimo, quello dell’art.14 della Legge Delega, già approvato alla Camera nell’ottobre scorso e su cui è calato – ora capite perché – un misterioso silenzio. Si vocifera che l’emendamento della senatrice Chiavaroli sia stato pensato – e pensato bene – per disinnescare il possibile voto e i possibili effetti, qualora un arrivasse un voto positivo per l’articolo 14 che, oltre al divieto assoluto per la pubblicità legata al gioco d’azzardo, prevede una estensione di poteri proprio ai sindaci e agli enti locali, oggi esclusi da ogni possibilità di arginare in forma diretta il fenomeno dirompente della proliferazione di slot machine e sale gioco. Sindaci e regioni, oggi, possono solo lavorare di sponta, con incentivi o disincentivi fiscali per esempio. Chi ha steso l’emendamento lo sa e non è uno sciocco, chi l’ha votato forse sì. Fatto sta che la associazioni confindustriali (esiste, per chi non lo sapesse, anche un ramo di Confindustria formato dagli operatori dell’azzardo) ha salutato con toni entusiastici il voto, quasi mettendo una firma sulla paternità dell’emendamento.

Il clamore della vicenda ha scompigliato le carte sul tavolo e rischia di trasformare l’emendamento in un boomerang per l’industria dell’azzardo e per il Pd stesso. Servono controllo civico permanente e un’attenzione che, finora, sono mancate. Vietare la pubblicità dell’azzardo in ogni sua forma sarebbe un primo passo per rompere il legame perverso tra politica, informazione e business dell’azzardo. Un passo finalmente alla nostra portata. Le dimissioni di chi ha votato un provvedimento aberrante sarebbero un’auspicabile scelta di stile. Visto come vanno le cose, anche un obiettivo molto più arduo da ottenere. (www.noslot.it)