Alle otto di sera il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda scende in piazza Castello tra i lavoratori Embraco, oltre duecento al freddo per molte ore, e annuncia con insoliti toni conflittuali l’esito della trattativa con Whirpool, la multinazionale che vuole chiudere lo stabilimento di Riva di Chieri e mandare a casa cinquecento lavoratori.
«L’Embraco, al termine di questa ultima parte della trattativa si è data quattro giorni per riflettere. Giovedì, a Roma, o si fa l’accordo o sarà guerra»: la campagna elettorale fa miracoli.
Dopo lo smacco della vendita di Italo a un fondo speculativo statunitense, nonostante l’invito governativo di Calenda e Padoan alla proprietà di portare avanti la quotazione in borsa, il governo non poteva permettersi un altro smacco sul fronte del lavoro. Così il ministro Calenda è giunto ieri mattina a Torino annunciando che non sarebbe uscito dall’ufficio della Prefettura senza una buona notizia per i lavoratori. La buona notizia in realtà non c’è, ma qualche giorno di tempo per indurre la proprietà statunitense a tornare sui suoi passi, almeno parzialmente, è stato strappato. Si tratta di un risultato minimo, che apre però un minimo spiraglio nel muro della Whirpool.
Cosa accadrà tra quattro giorni è però incerto: i manager statunitensi, se si presenteranno, avranno accettato il piano che prevede il blocco dei licenziamenti collettivi e la cassa integrazione straordinaria per nove mesi. Tempo durante il quale si studierà tra governo e proprietà un piano per re industrializzare l’impianto e riassorbire parte dei lavoratori.
In caso contrario il governo italiano aprirà una procedura presso la Commissione Europea contro la Slovacchia per aiuti di Stato. In questo senso la disputa si sposta su un piano politico, e indirettamente colpirebbe gli investimenti strategici di Whirpool che da molti anni ha delocalizzato parte della produzione italiana, e non solo, in Slovacchia. Il governo vuole attaccare la politica economica slovacca con una procedura formale in Europa, «per verificare – ha spiegato Calenda – se c’è stato un accordo fiscale fra il Governo e l’azienda che può essere discriminatorio. Vogliamo valutare se ci sono gli estremi per una denuncia per gli aiuti di Stato».
I rappresentanti dell’azienda hanno sostenuto durante l’incontro di essere disponibili a ritirare i licenziamenti, ma che attendono il via libera dai dirigenti Whirpool negli Stati Uniti.
La vertenza dell’Embraco assume quindi una dimensione internazionale a mette di fronte il governo italiano, i vertici di una multinazionale che fino ad ora si erano dimostrati irremovibili, e un governo.
Nel conflitto è stato coinvolto, fin dal principio, papa Francesco che ieri avevo invitato i lavoratori , ricevuti in Vaticano, a «lottare fino alla fine».
Ugo Bolognesi, delegato Fiom, al termine dell’incontro commentava: «Abbiamo tenuto duro fino ad ora e un minimo di speranza si sta manifestando. Il governo ha fatto il passo decisivo minacciando una guerra che a nostro avviso è necessaria. Ora la proprietà non potrà rimangiarsi la parola data questa sera».
La folla di lavoratori che aveva aspettato per lunghe ore davanti alla prefettura, al freddo, scandendo coro e sventolando bandiere, sembrava sollevata dalla prospettiva che si possa andare verso una soluzione meno traumatica. Giovedì, a Roma, il giorno della verità: la proprietà umilierà il governo o cederà alle minacce di una guerra politico commerciale?