Dal tuo terrazzo si vede casa mia (Racconti edizioni, pp. 164, 14 euro) è l’esordio letterario di Elvis Malaj, classe 1990, nato in Albania e poi trasferitosi a quindici anni in Italia con la propria famiglia, prima ad Alessandria e poi a Padova, dove oggi risiede. Si tratta del primo autore italiano pubblicato da Racconti edizioni, dopo aver proposto suggestioni da tanti paesi (su tutti, la filippina Mia Alvar con il suo bellissimo Famiglie ombra) attraverso la forma dei racconti, espressione letteraria che nel nostro paese non pare incontrare – purtroppo – il favore del mercato.
Il titolo del libro è una frase estrapolata dall’ultimo racconto della raccolta (sono dodici in totale), «Morte di un personaggio», un misto tra realtà e finzione che sembra offrire, più che una chiusura vera e propria alle storie riportate, l’invito a soluzioni narrative future da parte dell’autore.

«Dal tuo terrazzo si vede casa mia» – inoltre – appare un’espressione in grado di racchiudere al meglio la poetica manifestata dallo scrittore italo-albanese: la distanza che appare incolmabile non è infatti quella fisica, territoriale, geografica e che finisce per portarsi dietro luoghi comuni, dicerie, battutine, razzismi e pregiudizi.

SEMMAI LA DISTANZA che permea le vite dei personaggi di Malaj è interiore e si palesa attraverso un cinismo che nasconde in realtà qualcosa di contrario, ovvero malinconici assoli personali proiettati alla ricerca – infruttuosa o lasciata in sospeso grazie ai finali aperti di molti dei racconti – di un proprio posto nel mondo. A questo discanto narrativo fa da eco lo stile dell’autore. Così come molti dei personaggi sembrano muoversi su prospettive di vita pratica, come se l’atto di fare qualcosa, qualsiasi cosa, fosse sufficiente a dare un’identità alla propria vita, Malaj sceglie una scrittura all’apparenza asciutta, senza fronzoli e semplice nella sua costruzione, per raccontare quanto non è immediatamente visibile. Nelle sue parole Malaj nasconde l’irrequietezza dei suoi personaggi, sia quelli albanesi sia quelli italiani, provando a perimetrare la sensazione di inadeguatezza che pervade tutte le loro vite.

IN ALCUNI CASI Malaj tenta di offrire un’altra dimensione ancora di questa sensazione di disagio, di non essere mai al posto giusto; al lettore, infatti, viene offerto un frastuono emotivo che si mischia a quello dei personaggi e della scrittura, giocando con i luoghi comuni dipendenti dalla storia dell’immigrazione albanese in Italia.

QUELLA DOMANDA ricorrente, «Ah sei albanese, e dimmi allora come ti trovi in Italia», esplicitata in uno dei racconti («Il lupo della steppa») ma sottofondo costante di tanti altri (in forme diverse la stessa domanda viene affrontata nella prima prosa breve, «Vorrei essere albanese»), non può infatti avere più una risposta definitiva partendo dal luogo di arrivo o di origine, bensì soltanto dalla propria postura nel mondo. Ognuno si porta con sé, ovunque, quanto è stato in un altro luogo. A quel punto, la soluzione da ricercare diventa un’altra, ovvero comprendere cosa tenere e quanto invece mischiare la propria «origine» con quel che di nuovo si affronta per uscirne trasformati o rimanere sempre uguali.

E ALLORA IL TITOLO della raccolta, «Dal tuo terrazzo si vede casa mia» si trasforma: da distanza territoriale superabile in senso fisico, eccolo ritornare a essere un confine vero e proprio, un fioco e sottile filo che ci separa da scelte e necessarie decisioni.
Un confine che Malaj percorre come un equilibrista in tutti i suoi racconti, anche se la sensazione è che ci inviti a varcarlo.