La situazione in Catalogna rimane confusa, ma comincia a stagliarsi all’orizzonte la figura di chi presiederà il paese.

E NON SARÀ PUIGDEMONT, ma – per la prima volta – una donna: la 42enne Elsa Artadi, del circolo più fedele dell’ex presidente. Artadi lavorava lontano dai riflettori nell’ultimo governo catalano nel delicato incarico di coordinare vari dipartimenti del Govern. Economista, è stata docente alla Bocconi, consulente della banca mondiale e del foro di Davos.

NON CHE IL SUO NOME sia davvero una sorpresa: circolava già da tempo, ma Junts per Catalunya ufficialmente si rifiutava di riconoscere che per sbloccare la situazione si potesse fare un nome diverso da quello del martire esiliato Puigdemont.

Questa settimana, i giuristi della camera catalana hanno chiarito al president del Parlament Roger Torrent che, secondo la loro lettura delle norme, non è ancora scattato il termine dei 60 giorni dopo i quali si va a elezioni automatiche.

NEGLI EQUILIBRISMI LEGALI a cui gli indipendentisti ci abitueranno in questa problematica legislatura, Torrent ha rispettato scrupolosamente la legge, dichiarando Puigdemont il candidato da investire entro i 10 giorni lavorativi prescrittivi dalla prima seduta del Parlament, ma poi aveva «sospeso» la seduta di investitura, in attesa delle decisioni del Tribunale costituzionale (che ancora non sono state prese). Da quella seduta scattano i famosi 60 giorni, ma – secondo l’interpretazione legale a cui si rifarà Torrent – siccome l’inedita «sospensione» non ha permesso la celebrazione della seduta, c’è ancora tempo. Quanto, non è chiaro.

MA NÉ TORRENT, né il suo partito Erc, né Junts per Catalunya hanno fretta. Anzi. Sembra però che anche i pasdaran di Puigdemont stiano arrendendosi all’evidenza che mai Puigdemont potrà essere investito presidente da Bruxelles (o dal carcere, se dovesse tornare in Spagna). Il giudice che segue il caso è disposto a qualsiasi barbarità giuridica, questo ormai risulta chiaro dalle discutibili decisioni che sono state prese sui politici incarcerati: figurarsi se concederà nulla al suo pesce grosso. Ma la messa in scena indipendentista deve continuare. L’ultima proposta di JxC è quella di creare un fantomatico «consiglio della Repubblica» presieduto da Puigdemont, il «vero» presidente, anche se poi il governo sarebbe affidato ad Arcadi.

ADDIRITTURA JXC è arrivata ad esigere che il Govern fosse gerarchicamente sottomesso alla presidenza di Puigdemont, ma Esquerra si è opposta. Non è chiaro che immaginifica formula simbolica troveranno gli indipendentisti per sbloccare la situazione – ieri Torrent è stato in carcere a parlare con il capo del suo partito, Oriol Junqueras – ma il risultato finale ormai è chiaro. In qualche modo, si investirà Artadi, la migliore garanzia – ora – di Puigdemont e si farà qualche gesto di riconoscimento verso l’ex president, in attesa di tempi migliori. La Cup ormai ha smesso persino di far finta di cercare una strada alternativa. L’accordo pare ormai sia cosa fatta. A Torrent toccherà trovare la quadra legale per il cambio di cavallo (senza infrangere i dettami del tribunale costituzionale, che gli impedisce di far investire Puigdemont), e dovremo aspettarci molta gestualità vittimistica da parte degli attori in gioco.
Ma è ormai chiaro a tutti che nessuno vuole prolungare molto l’agonia e l’applicazione del 155, che rimarrà in vigore fintanto che un nuovo governo «legittimo» assuma il potere.

E I PARTITI INDIPENDENTISTI sanno benissimo che qualsiasi passo falso verrà impugnato da Pp, Ciudadanos e Psoe, e che il Tribunale costituzionale lo accetterà. L’ora del pragmatismo sta per scoccare. E l’abile Artadi non sarà solo una «sostituta»: ha tutte le carte in regola per sostituire sia Mas, sia Puigdemont come leader dell’indipendentismo liberale di destra.