La risposta del Regno Unito alla pandemia è stata fallimentare. Solo Stati Uniti e Brasile, con una popolazione decisamente maggiore, hanno subito perdite maggiori a causa del Covid-19. Molto più efficace la strategia seguita dal governo cubano, che con 87 vittime è uno dei Paesi al mondo che ha saputo meglio contenere il contagio, e allo stesso tempo ha offerto assistenza a Paesi ben più ricchi e, almeno sulla carta, sviluppati. L’inedito elogio alla sanità cubana arriva dalla rivista ufficiale della Royal Society of Medicine, che con oltre due secoli di attività è una delle istituzioni scientifiche più blasonate al mondo.

«Il paragone con un Paese che ha riposto in maniera eccellente all’emergenza illustra ciò che si sarebbe potuto fare se non ci fossimo accaniti nella distruzione di un sistema sanitario pubblico e avessimo rafforzato a livello nazionale le cure primarie», scrive nel commento John Ashton, uno dei più noti esperti di salute pubblica nel Regno Unito, già docente all’università di Liverpool e alla London School of Hygiene and Tropical Medicine.

«Decine di migliaia di medici di base, infermieri e specializzandi hanno passato al setaccio ogni abitazione nel Paese a piedi, testando tracciando e isolando in centri gestiti dallo stato i casi sospetti per 14 giorni». Il confronto è bruciante perché proprio l’epidemia di colera del 1854 a Londra dimostrò l’importanza dell’epidemiologia basata sulla suola delle scarpe, sconfitta da John Snow «battendo le strade di casa in casa e di officina in officina». Inoltre, ricorda Ashton, «Cuba è stata una dei primi Paesi a inviare operatori sanitari a Wuhan, già in gennaio, uno dei tanti esempi del suo impegno nella solidarietà internazionale durante le crisi umanitarie».

Anche l’Italia ricorderà a lungo l’arrivo dei medici cubani pronti a dare una mano in Lombardia nelle settimane più nere della pandemia.
Cuba non è l’unico Paese in grado di dare lezioni a governi ben più attrezzati dal punto di vista economico. L’Osservatorio epidemie della Johns Hopkins University, forse il principale centro al mondo per il monitoraggio della pandemia, segnala l’ottima performance di un altro stato teoricamente sfavorito, il Vietnam. L’Osservatorio elogia la rapidità di azione del Paese, che con cento milioni di abitanti al confine con la Cina ha iniziato gli screening sui passeggeri in arrivo già l’11 gennaio e chiuso le scuole entro la fine del mese.

Già a metà febbraio il governo ha introdotto le prime zone rosse grazie a mascherine, distanziamento sociale e altre misure di controllo mirate; ha riaperto le scuole all’inizio di maggio. La capacità di test è arrivata a 27 mila tamponi giornalieri, quasi mille per ogni caso registrato. Il risultato è sorprendente: nel Paese si sono registrati solo 369 casi e nessuna vittima, con una recessione economica molto limitata rispetto ai paesi vicini. Secondo l’Osservatorio, l’esperienza passata della Sars nel 2002-2003 è stata decisiva per mettere a punto una strategia così efficace.