Secondo il rapporto Fao sullo Stato della Pesca e dell’Acquacoltura Mondiale, nel 2030 la produzione ittica totale è destinata a superare i 200 milioni di tonnellate. Il consumo globale di pesce per scopi alimentari è aumentato con un tasso medio annuo del 3,1% dal 1961 al 2017, un tasso quasi doppio rispetto a quello della crescita della popolazione mondiale (1,6%) per lo stesso periodo, e superiore a quello del consumo di tutti gli altri alimenti proteici di origine animale, che è aumentato del 2,1%. I mari più svuotati dal punto di vista della pesca sono il Mediterraneo e Mar Nero con il 62,5% di stock sovra sfruttati, il Pacifico sudorientale con il 54,5% e l’Atlantico sudoccidentale con il 53,3%. Una statistica preoccupante è anche quella relativa allo sfruttamento degli stock ittici: la percentuale delle specie in salute è diminuita dal 90% nel 1974 al 65,8 % nel 2017, mentre la percentuale degli stock ittici costituiti da specie di interesse commerciale a rischio di estinzione è aumentata dal 10% nel 1974 al 34,2% nel 2017. Questa tendenza al sovrasfruttamento delle risorse alieutiche non comporta solo impatti negativi sulla biodiversità, ma contribuisce a generare importanti situazioni di criticità economiche e sociali.

Le statistiche della Fao evidenziano come le politiche mondiali della pesca risultino orientate da grandi gruppi commerciali che ottengono quote di pescato al di sopra del limite della sostenibilità ecologica. La piccola pesca costiera (la pesca praticata da navi di lunghezza inferiore a 12 metri che non utilizzano gli attrezzi trainati), invece rispetta i limiti naturali del mare, seguendo criteri di sostenibilità per questioni storiche, legate alla tradizione e alla cultura del mare e per le limitazioni dei mezzi che utilizza.

A livello mondiale la pesca industriale, comporta annualmente la cattura di circa 30 milioni di tonnellate di pesce per il consumo umano, e circa 35 milioni di tonnellate che sono trasformate in mangimi, impiegando al massimo 1 o 2 milioni di pescatori con un consumo annuo di 37 milioni di tonnellate di carburante. Al contrario, la piccola pesca, praticata dall’82% delle imbarcazioni, dà lavoro ad oltre 12 milioni di persone, che producono circa 30 milioni di tonnellate di pescato all’anno, il quale si traduce interamente in prodotto alimentare umano, con un consumo di carburante di solo 5 milioni di tonnellate. La piccola pesca è praticata con piccole imbarcazioni che possono permanere in mare solo per un certo numero di ore al giorno, con mezzi e strumenti che limitano le catture.

Sono questi i motivi per cui, secondo Slow Food, è urgente invertire il senso di marcia intrapreso dalle politiche mondiali sulla pesca, orientandole verso la moltitudine silenziosa composta dagli operatori della piccola pesca con lo scopo di migliorarne la condizione sociale ed economica. Incentivare la piccola pesca significa sostenere la biodiversità ed i servizi ecosistemici da essa erogati.

Il progetto di Slow Fish e la manifestazione (dal 3 giugno al 4 luglio: https://slowfish.slowfood.it/) contribuiscono a far conoscere modelli di cogestione virtuosi della piccola pesca, con lo scopo di valorizzare e diffondere buone pratiche.