In questi giorni di attesa «cromatica», legata anche alle sfumature di grigio che fra un paio di giorni coloreranno i cinema a San Valentino, il Festival di Sanremo è ormai pronto con i suoi fiori variopinti e un Ariston che certamente attraverserà tutti i colori della musica, dai confetti pastello dei super ospiti Albano e Romina al buio thriller del maestro Pino Donaggio ma è sempre il blu (dipinto di blu) la dominante, anche per una delle cantanti in gara: Grazia di Michele. Il mio blu infatti è il titolo del suo nuovo album, in uscita in queste ore, e la cantante romana, che torna a Sanremo a 22 anni di distanza dallo storico duetto con Rossana Casale Gli amori diversi, presenterà La mia finestra, brano che affronta ancora il tema della «diversità» ma stavolta insieme a lei la sorpresa: Mauro Coruzzi alias Platinette.

Come nasce la vostra collaborazione?
Grazia di Michele: «Conosco Mauro da tantissimo tempo e, nel corso dei decenni, ci siamo persi e ritrovati molte volte. Ho sempre sentito un’empatia profonda nei suoi confronti, al punto da voler raccontare in una canzone quella che è secondo me era una sua condizione emotiva. Una canzone può e deve far riflettere e sono convinta che su temi come il pregiudizio della diversità, bisogna schierarsi apertamente, così ho provato la carta Sanremo, convinta però di essere scartata. Per fortuna Carlo Conti ha compreso subito la verità della storia, l’autenticità di un messaggio a tutti coloro che sono in difficoltà, senza cavalcare l’attualità dello slogan.
Mauro Coruzzi: «Grazia, molto meglio di tanti autori maschili, ha una capacità straordinaria di fotografare gli uomini. Da ottimo conoscitore di musica italiana al femminile, penso che ha sempre saputo dipingere con sensibilità e senza presunzione ritratti di uomini, basti pensare a canzoni come Io e mio padre o Se fossi un uomo. In me penso che abbia visto una sorta di ’specchio delle contraddizioni’. La mia finestra è l’ammissione di uno strazio che io ho ampiamente risolto da anni ma ho pensato che sarebbe stato molto utile farlo per gli altri, nonostante il rischio di mettermi così a nudo.

Grazia, la canzone è contenuta nel tuo nuovo disco «Il mio blu», accompagnato dal jazz del Paolo Sabatino Trio e sarà distribuito insieme a un cofanetto con 12 riproduzioni del pittore siciliano Fabio Salafia. Cosa ti ha colpito di Fabio e quali saranno i colori musicali dell’album? 

G.d.M.: Il mio blu è composto da dodici canzoni scritte osservando i quadri di Fabio, scoperti per caso in Sicilia qualche tempo fa, ispirati a loro volta dalla mia musica. È un disco jazz, caldo, e oltre al duetto con Mauro, ho il piacere di cantare insieme a Mario Venuti. Ho cercato di esprimere tutti i colori dell’animo umano perché ho una grande paura dell’anaffettività dilagante. Da questa scaturisce la violenza, la volgarità e cattiveria, la mancanza di vibrazioni con gli altri è un male sotterraneo e pericoloso.

L’amore per l’arte e il colore è una costante di tutta la tua carriera: da «Le ragazze di Gauguin» al tuo penultimo disco «Giverny», il nome del giardino di Monet… 

Certo ma non è un fatto puramente estetico legato al cromatismo. Mi interessa quello che evoca un’opera d’arte, dal semplicissimo taglio della tela di Fontana al giardino, appunto, di Monet. Pensare a Monet che si chiude a coltivare un angolo di bellezza mentre fuori ci sono le bombe della Guerra Mondiale è per me qualcosa di estremamente emozionante.

Nella serata dei duetti di giovedì, proporrete «Alghero» di Giuni Russo… 

M.C.: «La scelta di portare il brano di Giuni è nata dalla necessità di rendere giustizia alla sua immagine di donna e artista. Quando è scomparsa, in molti l’hanno dipinta come donna triste e sfortunata ma Giuni non era così, era allegra, spiritosa e frizzante ed è proprio questo che vorremmo restituire. Sarà un’esibizione latina, allegra, anche come scenografia.

Mauro, dopo due album di cover pubblicate nel corso degli ultimi anni, e questa presenza sanremese, senti la tentazione di provare anche a scrivere canzoni? 

Strimpello e scrivo testi fin dalla seconda metà degli anni ’70. L’esigenza c’è ma essendo così critico verso me stesso, temo che non riuscirò mai a sbloccarmi. Penso che il mio futuro sarà comunque incentrato sulla scrittura e mi piacerebbe girare l’Italia con uno spettacolo che riunisca le mie componenti: canzoni, monologhi, serietà, improvvisazione, alto e basso e una sguardo sempre rivolto alle donne, soprattutto quelle «scomparse» dalle cronache, non solo musicali. Per esempio che fine hanno fatto Stefania Ariosto, Brunetta e Marisa Sacchetto?