Con il libro Cinema italiano: forme, identità, stili di vita  (Pellegrini ed. – Cosenza, 2018), che raccoglie e sistema contributi già dedicati in varie sedi al tema specifico, in un discorso la cui coerenza si rivela in ogni momento della lettura, Roberto De Gaetano torna a precisare i contorni del suo amore, che potrebbe sembrare esclusivo, per il cinema italiano.
Quali le ragioni di questo amore nei confronti d’un cinema che in tanti hanno spesso sottovalutato e continuano a sottovalutare, almeno nei suoi prodotti più corrivi, specie se paragonato allo splendore favoloso del grande cinema di stampo hollywoodiano, così narrativamente avvincente?
Solo chi è affascinato (noi compresi) dal glamour di Hollywood, dalla perfezione del suo discorso narrativo, dall’azione e dalla favola, dalla mitologia divistica, dalla maestria attoriale, e dal perfetto scorrimento dei meccanismi del racconto, può in effetti restare freddo di fronte a un cinema legato alla vita, vicino ad essa, prossimo, come scrive De Gaetano, «all’ordine spontaneo e caotico del vivente».
De Gaetano, del resto, ha buon gioco, appoggiandosi ai riconoscimenti di Bazin, Daney, Deleuze, Godard (di cui cita un brano delle «Histoire(s) du cinéma». Per tutti costoro il neorealismo, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, in condizioni difficilissime, ha dato forma al cinema moderno, ne ha tracciato le vie, in radicale alternativa al racconto classico del cinema americano dominante.
Non che il cinema italiano eviti di raccontare, anzi. Gli adepti dello sperimentalismo o del cinema d’autore più rigoroso potrebbero rimproverargli, in questo senso, certi eccessi in direzione del nazional-popolare; ma il racconto non nasce quasi mai da un partito preso in favore dell’intreccio.
Ciò è particolarmente evidente nella commedia italiana o all’italiana, i cui meccanismi si basano invece sulla particolarità dei caratteri, secondo la vecchia distinzione aristotelica. L’intreccio, cioè, non fa che ribadire i tic, le ossessioni, le passioni, le paure e le più o meno meschine ambizioni dei personaggi, avvicinandoli inevitabilmente alla Maschera (tra i casi più recenti, vedi il sodalizio Toni Servillo/Sorrentino). È, quella italiana, una commedia che De Gaetano definisce felicemente «scettica».
Spicca in ogni caso, tra i registi che hanno contribuito alla formazione d’una drammaturgia del reale, tra De Sica, Antonioni, Ferreri, Germi, Belloccio, Moretti, Martone ecc., la centralità della figura di Rossellini, da «Roma città aperta» a «Paisà» a «Viaggio in Italia». Diceva Godard che «Roma città aperta» è stato il film che ha riscattato l’onore dell’Italia, ed è un film in cui due personaggi drammatici (il partigiano e il prete) affrontano coraggiosamente la morte; ma non c’è mai alcun soprassalto di retorica, nessuna sottolineatura sopra le righe. Tutto è «in minore»(anche le peggiori efferatezze), tutto è come sommesso, affidato all’autenticità dei comportamenti. Anche in «Paisà», la resistenza nasce dalle cose, dal paesaggio stesso, è una ribellione intrinseca degli oppressi, senza sottolineature ideologiche.
In questa prospettiva della vicinanza al vivente, la lettura del cinema italiano finisce quasi per essere, secondo De Gaetano, una lettura privilegiata di tutto il cinema moderno, non solo d’un certo tipo di cinema.