Gloria ha solo quattordici anni ed è arrivata dal Messico insieme a sua madre, un’immigrata «indocumentada» che fa le pulizie in un’azienda locale. La sera di San Valentino, davanti a un fast food conosce un giovane operaio dell’industria petrolifera che non avrà vent’anni, le sembra gentile e carino e si fa convincere ad uscire con lui. La mattina dopo si sveglia coperta di sangue accanto al pick up dell’uomo dopo una notte di terrore, dopo essere stata violentata e quasi ammazzata di botte. Prima che il suo aguzzino si svegli la giovane trova rifugio in una delle rare casette rimaste nella zona che si è riempita di trivelle e pozzi di estrazione. Ad accoglierla sono una donna incinta, Mary Rose, e sua figlia. A loro, per tentare di portare il responsabile della violenza davanti ad un giudice in una città dove il razzismo e la misoginia la fanno da padrone, si aggiunge una vedova di mezza età, Corrine.

Siamo a Odessa, nel Texas orientale, alla metà degli anni Settanta e sullo sfondo di una terra meravigliosa e selvaggia, trasformata in un inferno dallo sviluppo dell’industria del petrolio, queste tre donne mostreranno che è possibile non solo ribellarsi, ma anche costruire relazioni profonde nel segno del rispetto e dalla consapevolezza. Forse non riusciranno a mutare la realtà che le circonda, ma cambieranno per sempre se stesse. Romanzo d’esordio di Elizabeth Wetmore, nativa di Odessa ma trasferitasi da anni a Chicago, La notte di San Valentino (Ponte alle Grazie, pp. 296, euro 18, traduzione di Tiziana Lo Porto) racconta non solo una storia indimenticabile, anche grazie a una lingua che attinge alla poesia, ma fa luce su un frammento della storia sociale americana nel quale il passato continua a specchiarsi nel presente.

Lo stupro di Gloria sembra rivelare nel modo più terribile una condizione di sopraffazione che subiscono molte delle protagoniste del romanzo. Diverrà anche l’occasione per la loro rivolta?
Nonostante le circostanze in cui si trovano a vivere queste ragazze e queste donne, che non hanno molti soldi, istruzione, risorse o potere, riescono a sopravvivere e, a volte, persino a prosperare. Ho pensato il libro come una sorta di lettera d’amore alla grinta enorme e alla grazia occasionale e duramente conquistata di tutte loro, a cominciare da Gloria Ramírez. Allo stesso modo, racconto anche di come questa terra dura, adorabile e resistente è stata profondamente brutalizzata dall’industria del petrolio e del gas, che ha colpito i luoghi così come le persone.

Anche se il paragone può apparire eccessivo, si ha l’impressione che il contesto descritto non sia poi così diverso da quello di realtà come Ciudad Juárez, diventata un tragico emblema del femminicidio: anche a Odessa una donna può essere uccisa o quasi nel silenzio generale.
Non sono un’esperta, anche se sono a conoscenza della lunga storia di violenza contro le donne di ogni età che caratterizza Cuidad Juárez. In entrambi i contesti agiscono vari elementi – l’eredità del colonialismo, la misoginia, il razzismo – ma credo che ciò che Odessa e la città messicana hanno prima di tutto in comune sia un sistema economico che feticizza lo sfruttamento dei lavoratori e che fornisce loro pochissime protezioni. E mentre uomini e ragazzi soffrono gli effetti disastrosi dei salari bassi e di condizioni di lavoro spesso pericolose, donne e ragazze subiscono le conseguenze più terribili di questo clima.

La scrittrice Elizabeth Wetmore

A fare da sfondo alle vicende del libro ci sono l’avvento e le crisi ricorrenti dell’industria petrolifera che hanno cambiato per sempre il volto di questa parte del Sud-ovest degli Stati uniti. Quale è il rapporto tra la comparsa delle trivelle in mezzo ai campi e la violenza che sembra permeare la vita di questi luoghi?
Sono anni che mi interrogo su quale sia la relazione tra questi elementi. E non ho ancora trovato una risposta certa. La maggior parte dei tecnici che lavorano in queste industrie non mettono mai radici. Il loro sostentamento dipende dall’estrarre il più rapidamente possibile, il più a buon mercato possibile, e per il tempo che il mercato lo richiede, gas e petrolio dal sottosuolo. E quando il prezzo del petrolio o del gas crollano, e succede sempre, a intervalli regolari, se ne vanno lasciandosi dietro i detriti delle piattaforme di perforazione: rifiuti di giacimenti petroliferi, gli stagni del fracking (la fratturazione idraulica), pozzi che perdono, terra essiccata e gli abitanti del posto che non vogliono o non possono andare da nessun’altra parte. Quanto agli operai, sono interamente alla mercé di un’industria senza regole. Mio padre capì che il prezzo del petrolio era crollato quando una mattina si presentò al sito di trivellazione dove lavorava e trovò un lucchetto sul cancello, l’azienda se ne era andata con il suo ultimo stipendio. Inoltre, poiché si tratta di un’attività quasi interamente dominata dagli uomini, le opportunità per le donne della working class in una città petrolifera come Odessa sono in genere limitate al lavoro nei bar, nei ristoranti, nella vendita al dettaglio e altre occupazioni comunque retribuite con il salario minimo.

L’altro elemento che ritorna come una sorta di drammatico luogo comune del posto è il razzismo. Anche quello che si respira in famiglia…
Sapevo che non avrei potuto scrivere questo libro senza almeno tentare di fare i conti con il razzismo a cui ho assistito da ragazza crescendo a Odessa. Non ne ho sofferto le conseguenze nei modi viscerali e quotidiani patiti dai cittadini ispanici o neri, ma il mio background è quello di una persona che ascoltava il razzismo occasionale nelle parole di coloro che amava e ammirava di più al mondo – famiglia, vicini, insegnanti, sacerdoti – e ha lottato per conciliare quel veleno con la gentilezza che quelle stesse persone riservavano a lei. Li ho visti lavorare sodo e pregare intensamente ed essere per il resto persone buone e rispettabili. Eppure non potevano – o non volevano – fare i conti con il peccato della supremazia bianca. Ora so che l’unica strada per la redenzione dei bianchi passa per il riconoscere il proprio ruolo in questo sistema di sopraffazione razziale. Chiedere il perdono a chi ne ha subito gli effetti, attendere la risposta e poi comportarsi di conseguenza, facendo seguire gli atti alle parole.

Se fin dai tempi di Fort Alamo il razzismo si è intrecciato al modo in cui si è definita l’identità di questa terra di frontiera, oggi le cose stanno cambiando?
Nella scuola superiore che ho frequentato vigeva la segregazione razziale fino al 1982, decenni dopo che era stata abolita nel resto del Paese, e anche allora l’integrazione è stata realizzata solo sotto la minaccia dell’intervento del Dipartimento di Giustizia. Del resto, solo nel 2018 il Texas Board of Education ha riconosciuto la schiavitù come la causa principale della Guerra civile tra nord e sud: fino a quel momento ai bambini texani veniva insegnato che il tema della schiavitù aveva avuto un ruolo secondario nello scatenarsi del conflitto rispetto alle rivendicazioni «dei diritti degli Stati». La supremazia bianca è inscritta nella Costituzione locale sotto forma di clausole a tutela della «purezza del voto», e mentre scrivo, i repubblicani del Texas sono ancora impegnati ad approvare leggi per privare il più possibile i neri, così come i giovani e gli abitanti delle città più grandi, dei loro diritti elettorali. Ciò detto, voglio sperare che questi tentativi, al pari della violenza dei «nazionalisti bianchi» che abbiamo visto all’opera in Texas come nel resto degli Stati Uniti anche di recente, siano solo gli ultimi sussulti di un sistema morente.

Le storie delle protagoniste del suo romanzo si possono leggere come altrettanti racconti che si sviluppano in parallelo fino ad incontrarsi in un determinato momento. Per lei scrivere ha a che fare con il «ritrovarsi» e forse anche con il prendersi cura gli uni degli altri?
Credo davvero che raccontare storie sia allo stesso tempo un atto d’amore e di speranza. Flannery O’Connor sosteneva che le persone senza speranza non scrivono romanzi – né li leggono, se è per questo – e che il coraggio di scrivere richiede sempre un certo grado di fiducia nel futuro. Posso aggiungere che personalmente non mi dedicherei mai a un libro popolato di personaggi che disprezzo, che non posso coinvolgere in una visione della vita dal cuore aperto e in un’etica di cura e rispetto degli altri.