All’ambasciata di Cuba a Roma, la sala degli incontri è piena. I movimenti di solidarietà sono venuti a ricevere Elio Gamez Neyra, vicepresidente dell’Istituto cubano di amicizia con i popoli (Icap). L’ambasciatrice, Alba Soto Pimentel, ricorda i tanti attacchi subiti da Cuba alla sua revolución, dall’invasione della Baia dei Porci al micidiale blocco economico imposto dagli Usa e tutt’ora vigente. «Oggi – dice – quegli attacchi sono rivolti soprattutto alle idee e la battaglia delle idee è la trincea». Dopo l’incontro, Gamez ha accettato di rispondere alle domande del manifesto.

Qual è stata la funzione dell’Icap nella rivoluzione?
L’Istituto di amicizia con i popoli ha una lunga storia. Nacque nel 1960 per impulso di Fidel con l’intenzione di includere tutta la solidarietà con la rivoluzione cubana e quella di Cuba nei confronti di altri popoli del mondo. Un movimento è cresciuto sempre di più fino a racchiudere attualmente oltre 2.000 organizzazioni in 158 paesi. Facciamo incontri internazionali in Africa, in Europa, in America latina. Una solidarietà politica preziosa durante gli anni del periodo especial, non solo a livello politico, ma anche concreto, che ci ha consentito di spezzare in cerchio in cui eravamo stati rinchiusi dopo la caduta dell’Unione sovietica. Così abbiamo potuto amplificare la lotta contro il blocco economico, divulgare la realtà del paese oltre la propaganda avversa e la disinformazione. Cuba non vuole imporsi sui movimenti di solidarietà, ma unire gli ideali di chi lotta per una società diversa. Potete star sicuri della nostra coerenza, vogliamo continuare a essere liberi, sovrani e indipendenti pur a 90 miglia dall’impero più grande del pianeta. Che questo venga percepito anche nei paesi capitalisti, dove regnano l’egoismo e l’individualismo e ognuno ha tendenza a pensare solo a se stesso, è un gran risultato.

Senza la resistenza di Cuba non avrebbero potuto svilupparsi nuove esperienze di socialismo in America latina. Fino a che punto siete disposti a spingervi per sostenere ora il Venezuela?
Sono certo di interpretare il sentimento del popolo cubano e dei popoli che ci accompagnano: non abbandoneremo mai il Venezuela. Sappiamo che quando tornano le destre nel nostro continente, ci aspetta un capitalismo molto più selvaggio di quello che governa in Europa, da noi non ha mezze misure.

Che può succedere con Trump?
L’imperialismo, in crisi sistemica, tende alla guerra. La sua economia si basa sull’industria degli armamenti e per vendere le armi si devono creare guerre. Siamo preoccupati. Dobbiamo alzare più forte la voce contro la guerra, per la pace, per la difesa della popolazione civile che muore nei conflitti solo per essere nata nei territori ricchi di risorse naturali. Se vogliamo lasciare ai nostri figli un pianeta in vita dobbiamo lottare. L’economia si è globalizzata, noi dobbiamo globalizzare la solidarietà.

Com’è Cuba senza Fidel?
Manca molto a tutti, ma abbiamo Raul, una solida direzione politica e un ricambio generazionale che porta i giovani, e in special modo le donne, a essere sempre più partecipi di una nuova scommessa. Stiamo correggendo alcuni errori nella nostra economia, per liberarci di alcune cattive abitudini e perfezionare il modello socialista. Il blocco economico è sempre lì, nonostante le aperture iniziali. Vengono comminate multe gigantesche alle banche che vogliono interagire con noi. Proprio in questi giorni è stata bloccata una transazione con la Unicredit, e con la San Paolo di Torino. Continuiamo a esigere il nostro territorio di Guantanamo, sottratto illegalmente dagli Usa. Chiediamo l’eliminazione del gruppo di leggi che stimola l’immigtrazione illegale, la fine del programma che favorisce la fuga dei nostri cervelli. La fine del finanziamento pubblico alla sovversione, rinnovato per 60 milioni di dollari: una guerra non dichiarata che continua. Gli Usa devono capire che non cederemo di un passo nella nostra politica interna ed estera. Non sprecheremo il sangue di chi si è sacrificato per la rivoluzione.