Elio Fiorucci, l’art pop che rivoluzionò la moda
Icone Morto a 80 anni l'imprenditore che cambiò il mondo della passarella, precursore del Made in Italy. Grazie a lui Armani, Krizia e Versace trovarono la strada spianata
Icone Morto a 80 anni l'imprenditore che cambiò il mondo della passarella, precursore del Made in Italy. Grazie a lui Armani, Krizia e Versace trovarono la strada spianata
Elio Fiorucci detestava essere chiamato stilista. E si sarebbe molto arrabbiato se avesse letto nei necrologi: «Il mondo della moda è in lutto. Lo stilista aveva da poco compiuto 80 anni», così come le breaking news che ne hanno annunciato ieri la morte. Non si era mai creduto uno stilista, lui che della moda italiana è stato l’apripista dell’epoca dello stilismo. Elio Fiorucci è stato molto di più: un imprenditore che, avendo molto fiuto e molto spirito di osservazione, ha saputo valorizzare il suo rischio di impresa. E in questo sì, è stato molto creativo. Ha sempre dichiarato di essere un commerciante, come il padre: «Non mi piacciono i panni dello stilista. Sono un commerciante che ha avuto l’umiltà di guardare con attenzione alla vita, ai comportamenti», diceva in un’intervista a Guido Vergani.
Elio Fiorucci era nato nel 1935 in una Milano non ancora industriale. Il padre aveva tre negozi di pantofole, in tre zone molto diverse di Milano, e con lui ha cominciato a lavorare. Non era neanche giovanissimo quando, nel 1967, arriva a Londra e riceve una folgorazione dopo l’altra: la Swinging London, il negozio di moda di Biba, King’s Road, Carnaby Street. «Quel casino mi commosse. Dirlo oggi può far ridere chi non ricorda il passatismo e il conformismo inamidato delle nostre proposte di guardaroba, i negozi di abbigliamento tutti all’insegna dell’aristocrazia vecchia Inghilterra o della sudditanza allo chic di Parigi.
Quel casino testimoniava un rapporto nuovo, libero con il problema del vestire, dell’eleganza. La moda non scendeva più dall’alto, come lo Spirito Santo, ma nasceva dal basso sotto la spinta di una turbinosa evoluzione del costume. Ho soltanto un merito, averlo capito. Tutta la vicenda Fiorucci prende avvio da un atto di attenzione». Più che una dichiarazione, questo è stato il manifesto di Elio Fiorucci.
La storia del suo marchio non nasce da un abito ma da un paio di galosce in plastica e colorate che convinsero molti a rispolverare un vecchio arnese del guardaroba del passato che, improvvisamente, appare moderno. Fu un boom commerciale, il primo dei tanti nella vita di Elio Fiorucci. Come l’aver portato in Italia i jeans «alla moda», cioè quei jeans stretti in vita, fasciati sui fianchi, stretti sulle gambe e allargati verso il fondo che tutti volevano, tutti compravano, tutti indossavano a partire dal 1967 e fino a quando, dopo la cessione del suo marchio, si è reinventato in una nuova avventura: Love Teraphy, un altro marchio, un altro programma.
Gli inizi di Elio Fiorucci sono legati al cambiamento che l’Italia affrontava alla fine dei ’60, tra il Sessantotto, il femminismo e la rivolta generazionale. L’apertura del primo negozio Fiorucci in Corso Vittorio Emanuele a Milano rappresentò uno shock per la borghesia milanese che, invece, in quella strada aveva stabilito il salotto buono. Fiorucci arrivò con i suoi «stracci colorati» a portare disordine in un ordine finto.
Segnato dall’esperienza londinese, Fiorucci insegnò a molti giovani la relazione fra la moda di quegli anni e la Pop Art e loro capirono che i colori potevano essere mischiati e non abbinati, che gli abiti potevano nascere da un assemblaggio di più capi, che lo stile non era una questione di abbinamenti da manuale ma un prodotto di una fantasia personale. Fu lui, infatti, che inventò il Casual all’Italiana, anche attraverso l’alleanza con alcuni divi dello spettacolo italiano dell’epoca, primi fra tutti Renato Zero e Loredana Berté, che si vestivano uguali (unisex, si diceva allora; no gender si direbbe adesso).
Fiorucci fu un boom. Tanto che la Montedison investì nel suo business e lui portò il suo stile all’estero. «Eravamo un fenomeno milanese e italiano. La mia bottega fatturava quattro, cinque miliardi. La nostra notorietà era inversamente proporzionale alla forza economica. Siamo diventati un fatto mondiale sbarcando a Londra e negli Stati uniti dove il Made in Italy era rappresentato da Gucci e Ferragamo», dichiarò anni dopo in un’intervista a Guido Vergani. Senza annettersi né il merito di essere il fondatore del Fioruccismo, è cioè di tutta la moda italiana degli Anni 70, né di essere stato il precursore del Made in Italy. Perché gli Armani, Krizia, Versace, Missoni anni dopo trovarono la strada spianata.
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