I marchigiani, si sa, non amano le sorprese. E a Fabriano, in provincia di Ancona, in effetti la storia di Elica, azienda leader mondiale nella produzione di cappe da cucina, va avanti secondo i piani. Il problema è che in questo caso i piani riguardano il taglio di 409 lavoratori su 560: un progetto che, da quando è stato annunciato all’inizio della primavera, non ha subito alcun cambiamento, tanto meno un’inversione di tendenza.

Gli operai hanno picchettato la fabbrica sin da subito, si sono riversati per le strade, hanno bloccato la Statale, continuano a organizzare proteste e manifestazioni. Ma il presidente Francesco Casoli (ex senatore di Forza Italia) non ha mai lasciato intendere di voler fare un passo indietro rispetto alla sua idea di delocalizzare il 70% della sua produzione dagli stabilimenti di Cerreto d’Esi, Mergo e Fabriano a Jelcz-Laskovice, in Polonia.

In settimana al ministero dello Sviluppo economico azienda, Regione e sindacati si incontreranno via webcam per aprire un tavolo di crisi e cercare una soluzione. Impresa difficile, quasi impossibile: il mercato per la verità sta crescendo e di lavoro ce ne sarebbe, ma l’azienda vuole tagliare i costi e snellire il bilancio, forse per favorire un passaggio di proprietà che pare imminente. «Sono logiche finanziarie e non lavorative», dicono dalla Fiom, sottolineando che la decisione di tagliare ha dell’assurdo se si pensa che negli ultimi anni gli investimenti di Elica sugli stabilimenti marchigiani sono stati di 45 milioni di euro, con una perdita operativa di 21 milioni.

«È chiaro che non si tratta di una crisi aziendale ma di una scelta strategica – dice Daniela Barbaresi, segretaria generale della Cgil delle Marche –, l’azienda vuole solo disinvestire. Di fatto è un abbandono di questo territorio».

Nel rapporto pubblicato dallo Svimez lo scorso autunno, le Marche e l’Umbria vengono inserite tra le zone potenzialmente esplosive sul versante sociale ed economico. La questione delle regioni centrali, però, non sembra all’ordine del giorno su nessuna agenda.
«Oltre ad essere una gravissima crisi sanitaria, il covid porta con sé anche pesanti conseguenze sociali – insiste Barbaresi –, nelle Marche siamo entrati in questa fase difficile senza mai essere usciti dalla crisi del 2008».

La vittima, ai tempi, fu la zona industriale di Ascoli, il confine più a nord della Cassa del Mezzogiorno, con decine di multinazionali che nel giro di poche settimane, alla fine dell’estate del 2008, chiusero baracca e burattini e se ne andarono. I posti di lavoro perduti furono trentamila.

Adesso la scure della crisi si sta abbattendo su Fabriano, un tempo area virtuosa, terra dei Merloni e culla di gran parte della classe dirigente marchigiana, cattolica e di sinistra, padrona di tutto fino allo scorso settembre, quando alle regionali la destra ha fatto il pieno e ha spazzato via gli ultimi eredi di un potere che si è dimostrato incapace di sopravvivere a se stesso.

E se il passato prossimo è drammatico, il presente non appare migliore: nei primi tre mesi del 2021, le aziende marchigiane hanno richiesto 27 milioni di ore di ammortizzatori sociali. Tradotto, si tratta del mancato lavoro di circa 56.000 persone.

Elica è l’ultimo simbolo di un declino che sembra inarrestabile. E, anche se il colpo della delocalizzazioni è stato improvviso, nei mesi precedenti i segnali inquietanti sono stati parecchi, a saperli leggere. Per esempio il passaggio di alcune quote di minoranza da Whirlpool al gruppo Tamburi. Oppure le dimissioni, una settimana prima del taglio, dell’amministratore delegato Mauro Sacchetto.

Per la trattativa che verrà, si fa affidamento sul blocco dei licenziamenti – che l’azienda ha promesso di rispettare – e sugli ammortizzatori sociali che di certo arriveranno. L’orizzonte però rimane oscuro e la delocalizzazione di Elica è un dettaglio che non è in discussione.

«Un passo necessario per salvare la centralità di Fabriano e delle Marche», ha detto il patron Casoli annunciando la chiusura di uno stabilimento intero e il netto ridimensionamento degli altri tre. La lotta operaia andrà avanti, ma da queste parti nessuno crede nei miracoli. La primavera, intanto, tarda ad arrivare.