È una sostanza impalpabile ma densissima quella raccontata da Elfo nel volume È la nebbia che va per Milieu. Storie di bevute sui Navigli, di tram liberty e case di ringhiera, avventure incastonate nell’asfalto della Capitale morale però a briglie sciolte. Nomen omen: «Nel 1977, quando ho iniziato, firmare con nome e cognome faceva troppo ’compito in classe’», dice l’autore, al secolo Giancarlo Ascari. «Così, ho scelto uno pseudonimo che mi riportasse alla magia dei miei fumetti di ragazzino. In realtà, a me Tolkien pare noiosissimo».

CONTRADDIZIONI di un fumettista a proprio agio sia con il fumetto adulto, sia con quello per bambini. «In realtà, il ’Corriere dei Piccoli’ di fine anni ’70 era sperimentale quanto ’Linus’, se pensi a Pimpa di Altan o a Giuseppe Laganà… Grazia Nidasio, straordinaria art director, era molto attenta ai giovani. Dopo di me, da ’Alter’ sono arrivati al ’Corrierino’ Brandoli e Queirolo, Mattotti e Bertotti».

Riviste corsare anche nell’accoglienza riservata a un autodidatta con alle spalle studi classici e poche vignette. «Ma mio padre insegnava storia dell’arte al liceo e dipingeva molto bene, così sono cresciuto disegnando. Finché con il ’Linus’ di Gandini mi sono innamorato di Copi, Crumb, Feiffer. E, quando una decina d’anni dopo sono sbucati Moebius, Corben e Muñoz e Sampayo, ho deciso di realizzare storie imbevute con quello che mi accadeva attorno».

La strada maestra passava per i generi, dalle suggestioni esotiche di Salgari, Verne e Poe, alla «scuola dei duri» di Hammett e Chandler. «Nelle storie del detective Paolo Valera ho frullato insieme la fantascienza, il giallo e un fitto tratteggio che coprisse un po’ le mie carenze tecniche. Poi ho capito che cambiando segno a seconda dei temi e delle trame riesco a mantenere una voce riconoscibile: quel filo di ironia amarognola che corre lungo i miei lavori». La storia di Elfo e dei suoi fumetti si intreccia anche con quella della cooperativa che tra 1979 e 1995 ha proiettato i comics in altri settori.

«STORIESTRISCE era un po’ agenzia, un po’ sindacato, un po’ gruppo creativo. Traghettavamo i fumetti su copertine di libri, pubblicità, cartoni animati. Realizzavamo mostre e speciali su Beatles, cravatte e hamburger per ’Alter’, poi il mensile ’TIC’ con soci come Del Buono, Lunari, Gino e Michele o Sergio Bonelli. Oltre la grafica di Gianni Sassi c’erano i fumetti di Crumb, Shelton, Igort, ancora Muñoz, Matticchio, Giacon… e poi firme come Goffredo Fofi e Stefano Bartezzaghi. Siamo stati i primi a proporre in Italia le leggende urbane, ma anche le Formiche di Gino e Michele e il racconto in tempo reale della guerra in Bosnia con le foto di Livio Senigalliesi. Nel tempo, purtroppo, il nucleo di Storiestrisce si è spezzato: è morto Ugo Cirillo, che aveva portato Maus in Italia, Franco Serra si è dedicato ai cartoni animati e io ho cominciato a scrivere e disegnare per varie testate».

Nel frattempo, il mercato del fumetto cambiava, con la morte delle riviste e l’affermazione dei romanzi grafici. Un format popolarissimo, non una panacea. «Per ogni romanzo a fumetti serve un’idea che ti convinca a dedicargli un anno o più sapendo che il compenso non sarà adeguato al tempo e al lavoro che ci metti. Ora ad attrarmi non è tanto l’illustrazione, quanto lo scrivere e disegnare libri per ragazzi con Pia Valentinis. Dal 2015 a oggi abbiamo realizzato 21 libri insieme, saltando da Leonardo ai ponti, al cibo, a Monet, agli abiti, al cioccolato, ai luoghi di culto. Lavorare per i ragazzi dà la sensazione di muoversi in velocità e parlare a un pubblico più reattivo di quello dei graphic novel, che mi pare un po’ seduto. Ma se mi viene un’idea, non escludo di piegare nuovamente la schiena sui fumetti».

INTANTO, È la nebbia che va raccoglie il meglio di Elfo, compreso l’introvabile Tutta colpa del ’68, edito da Garzanti per il quarantennale. «Avevo proposto di ripubblicarlo a Milieu e loro hanno rilanciato chiedendomi di raccogliere tutte le mie storie milanesi. Abbiamo scannerizzato gli originali, optato per il formato di ’Alter’ per non umiliare il lettering con un formato quaderno e rilegato il tutto in una copertina morbida, comodissima da maneggiare anche a letto o in tram. Alla fine, senza volerlo, è venuto fuori praticamente un grosso almanacco di Alter». Una formula no-frills intramontabile. Perché va bene la Milano fighetta di oggi, ma «la città resta quella dei comitati di quartiere, delle associazioni di strada, dei centri sociali: adda passa’ ’a gentrification».