La nuova, vecchia legge elettorale è quasi pronta ora che il governo ha avuto il via libera delle camere per il ridisegno dei collegi uninominali e proporzionali. Ma è molto difficile che la vedremo all’opera. Intanto perché è un sistema – il vecchio «Rosatellum» con i nuovi collegi – utilizzabile per pochi mesi. Dal prossimo agosto infatti il presidente della Repubblica non potrà sciogliere anticipatamente le camere perché entreremo nel «semestre bianco». E in autunno ci sarà il nuovo censimento generale per cui i collegi, come prevede l’articolo 56 della Costituzione, andranno modificati si cambi o meno la legge elettorale. Ma soprattutto il Rosatellum è troppo vantaggioso per il centrodestra e l’attuale maggioranza farà l’impossibile perché non si usi. Perché la crisi non precipiti nelle urne.
Dopo il taglio dei parlamentari – 230 deputati e 315 senatori in meno – i giallorossi avevano condiviso l’esigenza di cambiare la legge elettorale, tra le altre cose. Per preservare un minimo di rappresentatività. Ma le altre cose (cambio dell’elettorato passivo e della base elettorale del senato) non si riescono a fare e la legge elettorale proporzionale resta un miraggio. E così resiste il Rosatellum: 147 seggi da assegnare con l’uninominale, 245 con il proporzionale (e 8 all’estero) alla camera, 74 seggi da assegnare con l’uninominale, 122 con il proporzionale (e 4 all’estero) al senato. È una legge formalmente maggioritaria solo al 40% e proporzionale per il restante 60%, ma che in realtà ha effetti assai più maggioritari. «Senza una nuova legge elettorale ci troveremo a votare con regole che renderebbero il parlamento ancora meno rappresentativo della volontà delle elettrici e degli elettori», ha denunciato ieri il Coordinamento per la democrazia costituzionale.

La colpa (ma tre anni fa al Pd di Renzi sembrava un merito) è il sistema del voto unico. Diversamente da quello che accade in Germania, infatti, con il Rosatellum l’elettore vota solo sulla scheda dove ha davanti la sfida uninominale nel suo collegio, poi il voto scivola anche alla lista proporzionale. Ma non sono molti gli elettori disposti a votare per un partito che non è competitivo nella sfida che appare come la principale. In più i voti di chi traccia il segno solo sul candidato all’uninominale si trasferiscono nel collegi plurinominali in proporzione alla forza dei partiti: anche così si favoriscono i più grandi. Tutto questo in concreto ha un solo effetto: sono premiati i più forti e favorite le coalizioni ben distribuite sul territorio. È l’identikit del centrodestra. Le previsioni sono impietose per i giallorossi, anche immaginando che Pd e i 5 Stelle riescano a presentare candidati comuni nei collegi uninominali. Comuni anche alle altre due macro (o micro) aree del centrosinistra: +Europa/Azione e sinistra/verdi.

La supermedia dei sondaggi Youtrend del 10 dicembre vede il centrodestra in vantaggio di 17 punti percentuali sul centrosinistra, vantaggio che resta al 3% anche nel caso in cui il M5S si associasse alla coalizione anti Salvini. Le otto elezioni regionali del 2020 dicono che il centrodestra può vincere molti collegi uninominali anche dove il centrosinistra con i 5 Stelle è teoricamente in testa: Emilia Romagna, Puglia e Toscana. Il che significa che la coalizione Salvini-Meloni-Forza Italia può conquistare qualcosa come 110 collegi uninominali alla camera e 55 al senato. Con il proporzionale e il premio di maggioranza implicito significa in totale circa 260 seggi alla camera (su 400) e 125 seggi al senato (su 200). Una comoda maggioranza assoluta, pericolosamente vicina (mancherebbero sei o sette deputati e senatori) alla maggioranza dei due terzi con la quale si può cambiare la Costituzione. Non solo, nel febbraio 2023 il centrodestra a camere riunite potrebbe contare anche su 34 delegati regionali, il che vuol dire che arriverebbe a sfiorare la possibilità di eleggere in solitudine il presidente della Repubblica dai primi scrutini. Ecco a chi conviene il Rosatellum. E a chi conviene evitare di precipitarci.