Il giorno del 155 è arrivato. Quasi certamente il presidente del governo spagnolo Mariano Rajoy stamattina riunirà alla Moncloa il Consiglio dei Ministri che chiederà formalmente al Senato di poter attivare per la prima volta l’articolo della Costituzione che permette di «commissariare» la Catalogna.

Il Govern catalano ha fino alle 10 di stamattina per rispondere alla richiesta di Madrid di «ristabilire la legalità costituzionale», ma i fatti degli ultimi giorni, con l’arresto dei due leader delle associazioni indipendentiste, fanno pensare che non risponderà, o che ribadirà quanto già detto lunedì, in risposta al primo ultimatum del governo Rajoy: due mesi di tempo per trattare.

A TUTTI È CHIARO, e per primo agli indipendentisti, per loro un boccone amaro, che Carles Puigdemont non ha dichiarato formalmente un bel niente martedì 10, e nella sua risposta evasiva di lunedì scorso era implicitamente chiaro. Il governo spagnolo si è però ostinato a esigere di chiarirlo.

Poi lunedì notte è arrivata la bomba: la detenzione dei presidenti delle due associazioni indipendentiste Òmnium cultural e Associazione nazionale catalana (Anc), i «due Jordi» (Cuixart e Sànchez). Un arresto preventivo per un reato grave e obsoleto (applicato pochissimo dalla Spagna democratica): sedizione. L’accusa si riferisce ai fatti del 20 settembre, quando una moltitudine si era riunita davanti al ministero dell’economia catalana per ostacolare il lavoro della Guardia Civil che stava perquisendo l’edificio e arrestando alcuni funzionari di alto livello.

Ma stando alle informazioni pubblicate dai giornali, la ricostruzione dei fatti è quanto meno dubbia rispetto al come e perché i Mossos non avrebbero protetto abbastanza i colleghi della Guardia civil (anche il capo dei Mossos, Josep Trapero, è imputato anche se a piede libero). Gli indipendentisti e Amnesty insieme a molti giuristi, inoltre, argomentano che il procedimento giudiziario è debole. Primo, per la stessa definizione del reato (al massimo, sostengono, si tratta di disordini). Secondo, per le misure preventive (che sarebbero sproporzionate nella fattispecie). E infine perché dubitano che la Audiencia nacional (in cui tende a prevalere «la ragione di stato» perché giudica reati «contro la forma di governo») sia competente, invece dei tribunali ordinari. Sembra anche che la pubblica accusa stia facendo di tutto per arrestare il pesce grosso Trapero.

In Catalogna la maggior parte dei partiti (e anche Unidos Podemos a Madrid) parla di «arresti politici» o «sproporzionati». Martedì notte, con meno di 24 ore di anticipo, in un giorno lavorativo, le manifestazioni di protesta sono state imponenti: la Diagonal di Barcellona è rimasta chiusa fino a ieri sera per pulire la cera delle migliaia di candele.

L’ARRESTO ha fatto perdere posizioni alle colombe fra gli indipendentisti: tanto che di fronte all’inevitabile attivazione del 155, si parla di dichiarare davvero l’indipendenza a stretto giro. Lo promettono sia la Cup che Esquerra republicana.

In realtà, dopo il consiglio dei ministri, c’è ancora un margine. Perché la seduta del senato è prevista solo per giovedì e venerdì prossimi, dopodiché il governo ha ancora un tempo imprecisato per agire. Anche se il Partido popular ha la maggioranza assoluta in questa camera, Rajoy sta parlando con i leader di Ciudadanos e Psoe per assicurarsi anche il loro voto favorevole. I due spingono per la convocazione di elezioni in Catalogna molto rapidamente, mentre il Pp sarebbe per prendere tempo, illudendosi che la situazione possa calmarsi. Il che comunque implica che Puigdemont rimarrà in carica e con pieni poter per almeno un’altra settimana. Se volesse potrebbe sciogliere lui il Parlament (è sua questa attribuzione) prima che lo privino dei suoi poteri. E questo ieri gli hanno fatto sapere i tre partiti: se sarà lui a staccare la spina, Madrid si impegna a non schiacciare il bottone nucleare del 155.

MA A QUESTO PUNTO a Puigdemont e ai suoi conviene di più politicamente essere detronizzati che abdicare. «La resa non è contemplata in nessuno scenario», aveva detto martedì il portavoce del Govern Jordi Turull. E Esquerra ieri notte ha promesso ai suoi militanti: altro che elezioni, «manterremo il mandato dell’1 ottobre fino alla fine, costi quel che costi».