Nel weekend si è concluso lo spoglio dell’ultima tornata di elezioni locali in India, segnando in Bengala Occidentale una significativa sconfitta per il Bharatiya Janata Party (Bjp), partito nazionalista hindu guidato dal primo ministro Narendra Modi. Per settimane, anche nel pieno della gravissima crisi pandemica in corso, gli elettori degli Stati di Assam, Bengala Occidentale, Kerala, Tamil Nadu e del territorio di Puducherry si sono recati ai seggi per eleggere i deputati dei rispettivi parlamenti locali, che a loro volta esprimono i governi locali, guidati dai «chief minister».

AL TERMINE di una campagna elettorale durissima, condotta in spregio al buon senso ammassando decine di migliaia di sostenitori in comizi tenuti dai principali esponenti del governo centrale – da Modi in persona al ministro degli interni Amit Shah – il Bjp non ha dilagato come sperava, fermandosi ben lontano dalla metà dei 294 seggi in palio in Bengala Occidentale. Solo 77, contro i 213 vinti dal Trinamool Party di Mamata Banerjee, confermata per la terza volta alla guida dello Stato.

PUR GUADAGNANDO 45 SEGGI rispetto alle ultime elezioni locali, si tratta di una sconfitta netta per Modi e per il suprematismo hindu che il Bjp ha cavalcato insistentemente per mesi nel tentativo di sostituire col settarismo la tradizionale laicità bengalese. Il Bengala Occidentale, confinante col Bangladesh (Stato quasi interamente musulmano) e abitato da quasi 30 milioni di musulmani, sin da prima dell’Indipendenza indiana ha fatto della multiconfessionalità e della laicità motivi di vanto a livello regionale, cui si aggiunge una leggendaria propensione all’arte e al lavoro culturale.

Qui nacquero e vissero giganti della letteratura e della cultura subcontinentale come il premio nobel Rabindranath Tagore, il regista neorealista Satyajit Ray, la scrittrice Mahasweta Devi, solo per citare i più noti a livello internazionale. Bengalese è Amartya Sen, economista e filosofo tra i più influenti del secolo scorso.

CONQUISTARE il Bengala Occidentale avrebbe avuto per il Bjp un valore simbolico enorme. Avrebbe dimostrato che la nuova India di Modi, tutta supermatismo hindu e neoliberismo, soggiogando il Bengala Occidentale degli intellettuali e del multiculturalismo, è davvero inarrestabile.

I risultati di queste elezioni ci indicano che così non è. Ovunque al di fuori del Bengala Occidentale, non si registra alcuna sorpresa. In Tamil Nadu (4 seggi) e Kerala (nessun seggio) il Bjp continua la propria tradizione di assoluta irrilevanza nell’India meridionale: vincono rispettivamente M.K. Stalin del partito regionale Dmk e Pinarayi Vijaian del Partito comunista indiano (marxista), interrompendo per la prima volta in quarant’anni il passaggio di consegne tra comunisti e Indian National Congress (Inc) alla guida dello Stato più progressista dell’India. Il Bjp cresce, di poco, nella città-stato di Pondicherry, e viene confermato in Assam.

IL BOLLETTINO PANDEMICO di ieri ha registrato una lievissima flessione, ma non cambia la sostanza: con oltre 380mila nuovi casi di Covid19 e oltre tremila morti in 24 ore, le responsabilità di Modi nella scriteriata gestione della diffusione del virus in India sono enormi; se siano state un fattore chiave alle urne è già materia per gli analisti.

Di certo respingere l’avanzata del Bjp, che per 5 anni ha speso milioni e milioni di dollari in campagna elettorale e ha «assoldato» decine di candidati chiave nelle circoscrizioni strappandoli al Tmc, per la chief minister bengalese Mamata Banerjee significa, parole sue, «salvare l’India». Ridare alle opposizioni di tutto il Paese la forza di immaginare un’altra India.