Il Kenya si prepara alle sue tredicesime elezioni dall’indipendenza in un clima di grande incertezza. L’8 agosto si voterà per l’elezione del presidente della Repubblica, dei deputati, dei senatori, dei governatori e dei rappresentanti della contea: in un solo giorno si deciderà chi avrà in mano le sorti del Paese per i prossimi cinque anni.

I CANDIDATI alle presidenziali sono otto, ma i veri contendenti sono due: Uhuru Kenyatta, presidente in carica, per Jubilee Alliance e Raila Odinga per il Nasa (National Super Alliance). Il primo è dato nei sondaggi al 47% contro il 43 del secondo. Tra i due è in corso un dibattito a distanza, non ci sono stati incontri diretti. Il 25 luglio era previsto un faccia a faccia su tutte le reti televisive a cui il presidente ha scelto di non partecipare perché «non aveva tempo da perdere» così Odinga ha parlato da solo per ben 90 minuti. Non c’è un confronto programmatico, ma un marketing di slogan da distribuire nel mercato elettorale: milioni di posti di lavoro, l’università gratuita…

Il presidente in carica ha dalla sua la realizzazioni della nuova ferrovia Nairobi-Mombasa e di una serie di infrastrutture stradali, ma i grandi problemi del Paese rimangono: la povertà diffusa, disuguaglianza, l’assenza di infrastrutture idriche e la distribuzione iniqua della terra.
Nella capitale non se ne parla, ma il timore delle violenze che potrebbero scaturire dall’esito elettorale è forte, il ricordo delle 1700 vittime degli scontri elettorali del 2008 è ben presente in tutti. Chi può torna al villaggio dove si sente più sicuro, alle persone degli enti internazionali e delle ong è stato consigliato di andare in ferie.

Ricorrono nella strada gli appelli al non cedere alla violenza: «Per favore non fatte la battaglia sbagliata, abbiamo dei problemi seri». Anche se secondo fonti autorevoli questa volta l’esercito è preparato e non verrà colto di sorpresa.

QUELLO CHE COLPISCE è la ricorrenza degli stessi nomi, delle stesse famiglie politiche che trasferiscono di padre in figlio la carica elettorale come se fosse una discendenza feudale: Raila Odinga è figlio di Jaramogi Oginga Odinga primo vice presidente della Repubblica nel 1963, Uhuru Kenyatta è figlio di Jomo Kenyatta primo presidente della Repubblica.

C’è una politicizzazione dell’etnia e un’etnicizzazione della politica per cui il kikuyu vota per il kikuyu, il luo per il luo, come spiega Mutoma: «Noi sosteniamo il candidato della nostra tribù anche se sappiamo che è un incompetente o un ladro».

SCORDATEVI LE CLASSI SOCIALI, il 900, i partiti, le lotte sociali qui i criteri di voto sono altri. La vicinanza non è di classe e neanche di pelle, ma è fatta di terra, di antenati e sete di potere. Per vincere è necessario far entrare questa sete nella sete quotidiana della gente che cammina senza sosta per un lavoro a giornata, che si spacca la schiena nei campi per una pannocchia di mais, che si muove lungo i deserti con le capre alla ricerca dell’acqua.

Questa arsura è nello stesso tempo immanente e trascendente, imprevedibile nei suoi modi e nei suoi risultati: può stare sia nella ragione che nella ricerca di ciò che si ritiene giusto. Non c’è una lotta di classe, non sei più vicino al tuo dirimpettaio perché fai la fame come lui, perché ti spacchi la schiena per un pezzo di pane, non è questa la lettura della gente: la vicinanza è kabila (tribù). Quindi meglio uno della tua tribù anche se ricco sfondato che uno come te, ma che non è “dei tuoi”. Questa è la linea.

L’8 AGOSTO, UN SOLO GIORNO che non basta per risolvere i conti con la storia di un Paese che ha allungato le sue case fino a trasformale in grattacieli, un po’ come le donne che allungano i loro capelli con le treccine, ma la mentalità e la cultura non si estendono con posticci di plastica.

SI È SUDDITI, NON CITTADINI, finché continuano a prevalere l’etnicizzazione della politica e politicizzazione dell’etnia, ma verrà un giorno, sentenzia Peter, «in cui non si voterà per la tribù, ma per il Kenya». E mentre i turisti attendono l’ultimo super treno per Mombasa le città si svuotano nell’attesa dell’E-day.