Una legge sul salario minimo a nove euro lordi da approvare «entro agosto» insieme alle norme contro il cottimo dei «rider», copertura Inail contro gli infortuni e una migliore contribuzione Inps che «supera la gestione separata Inps»; un miliardo di euro di «risparmi» dal sussidio detto impropriamente «reddito di cittadinanza» da dirottare sulle «famiglie che fanno figli qui in Italia» e avranno «sgravi su pannolini, babysitter e asili nido». In questo calderone di suggestioni variamente abbozzate, utili per tirare la volata elettorale per le europee del 26 maggio, ieri Luigi Di Maio ha aggiunto in un post su Facebook anche l’abbassamento delle tasse con la riduzione del cuneo fiscale. E non bisogna dimenticare un vecchio cavallo di battaglia, già evocato dall’ex ministro dell’economia Padoan (Pd): un’assicurazione europea contro la disoccupazione. È stato il premier Conte a ripescarlo. Lo riproporrà tra le priorità dell’«agenda strategica» dell’Ue 2019-2024 adottata dal Consiglio Europeo a giugno. Poco più di un auspicio, sempre che il voto risponda ai mega-progetti dei populisti all’italiana che in Europa marciano divisi e fanno finta di ignorare che un’improbabile alleanza «sovranisti»-popolari solo difficilmente approverà un simile progetto. Quella tra popolari-socialisti l’ha ignorata. E, in generale, il dominus tedesco non vuole sentire parlare di misure sociali in Europa. La risposta di Annegret Kramp-Karrenbauer, l’erede di Merkel, alle proposte di Macron esemplificano tale orientamento.

Sul salario minimo la Lega non si è esposta sebbene abbia fatto trapelare perplessità sulla cornice legislativa. I leghisti sembrano orientati per una «legge cornice» che includa anche le norme sulla rappresentanza di sindacati e imprese. Domani Di Maio incontrerà dalle 15 in via Veneto i sindacati confederali che si oppongono a un salario minimo a nove euro lordi e chiedono l’estensione erga omnes dei contratti nazionali, il riconoscimento del valore legale dei minimi contenuti nei contratti nazionali di riferimento. Per i Cinque Stelle «nove euro» è una bandiera, mentre i sindacati temono che possa provocare una fuga delle aziende dai contratti che prevedono un minimo superiore a quello fissato per legge. Ipotesi di mediazione sarebbero anche possibili, ma non sembrano ancora all’ordine del giorno. Di Maio ha usato ancora la proposta di salario minimo contro il tesoriere Pd Zanda e il suo disegno legge sull’aumento degli stipendi dei parlamentari, scaricata dal segretario Zingaretti. Ieri è andato in scena sui social un altro round di campagna elettorale.

L’altra incognita del provvedimento è quella delle tutele dei rider, un pasticcio creato da Di Maio sin dall’insediamento. La norma sarebbe pronta. Il problema è che non si sa dove metterla, avendo escluso una legge ad hoc per risparmiare tempo. È passato un anno, Di Maio avrebbe fatto risparmiato tempo a pensarla in quest’ultima forma. Non lo ha fatto perché non intende affrontare le vere questioni politiche e giuridiche. Nel caso dei rider, il riconoscimento nel campo della subordinazione, l’unico modo per migliorare la loro condizione. Si parla invece di provvedimenti parziali che non affrontano il problema delle aziende che considerano i rider «collaboratori» (finti lavoratori autonomi). E non è detto che, alla fine, la norma iper-parcellizzata diretta ai rider e non a tutti i lavoratori digitali andrà a finire nella proposta sul salario minimo. Di Maio ne sembra convinto, ma ha evocato la possibilità di metterla nel guazzabuglio del «decreto crescita».

Una riflessione va fatta sul «miliardo» dal «reddito». I Cinque Stelle lo fanno passare per un «risparmio» dovuto ai «controlli» operati su chi, ad oggi, ha fatto domanda per il sussidio. Più che altro è la prova che, pur con un criteri più ampi, questo sussidio malconcepito è inadatto a rispondere ai bisogni dei lavoratori poveri che non sono (ancora) troppo poveri per percepirlo. Invece di reinvestirli sulla misura, magari ampliandola e rendendola meno condizionata, li si vuole dirottare altrove in provvedimenti a pioggia per un welfare improvvisato.