Il successo di Podemos nelle elezioni amministrative in Spagna non era inatteso. Ma vederselo davanti agli occhi è un’altra cosa. La lista Barcelona in Comu, arriva prima nella città catalana. Si tratta di una lista proposta da Ada Colau, candidata a sindaco ed esponente del movimento contro gli sfratti (PAH), cui hanno aderito, tra gli altri, Podemos, Izquierda Unida, Iniciativa poar Cataalunia. Quindi una coalizione politica e sociale, capace di riunire le forze politiche di sinistra di alternativa e le iniziative di movimento su un programma comune. A questo risultato positivo si somma il risultato del CUP (sinistra radicale libertaria ed indipendentista) che ha raggiunto il 7% e 3 consiglieri. Siamo di fronte, quindi, a una affermazione generale delle forze di sinistra e di movimento  a Barcellona.

A Madrid il confronto con i Popolari è stato un testa a testa vinto di misura da questi ultimi. Podemos (assieme a Ganamos, proveniente da Izquierda Unida) arriva secondo con un seggio di distanza. Ma ha aperte varie possibilità di alleanza per governare anche la capitale spagnola. Importante sarà il ruolo di ciò che resta del Psoe, ma soprattutto decisivo quello di Ciudadanos, la nuova formazione di impronta liberal democratica anch’essa nata dal basso, in particolare tra i ceti medi attivi spagnoli.

In Spagna si è votato un poco più delle scorse amministrative, sfiorando il 50% degli aventi diritto. Un’affluenza alle urne che rafforza il senso dell’affermazione della sinistra. Quattro anni fa PP e Psoe avevano insieme il 65% dei voti, ora non superano il 53%, se si sommano tutti quelli ottenuti nelle 8.122 municipalità e nelle 13 su 17 regioni del paese in cui si è votato.

Ha pienamente ragione, quindi, Pablo Iglesias di Podemos quando afferma che i due maggiori partiti hanno ottenuto il peggiore risultato della loro storia, che il bipartitismo in Spagna è finito e che Podemos sfiderà il Pp per il governo del paese nelle prossime elezioni politiche di novembre. Non lo farà da solo ma tessendo una rete di alleanze con forze di movimento, di sinistra e democratiche.

Ma l’Europa non si tinge solo di rosso. Altrove avanzano formazioni filo autoritarie, se non apertamente nostalgiche di regimi di tipo fascista. E’ il caso della Polonia, uno dei sette paesi più grandi della Ue, dove vince le presidenziali Andrzej Duda, che non nasconde le proprie posizioni antidemocratiche, ipernazionaliste, antiUe e russofobe, xenofobe e aggressive. La sua parola d’ordine è stata “portiamo Budapest a Varsavia” esaltando l’orrendo regime ungherese di Orban. Purtroppo lo hanno seguito, nell’assenza totale di una sinistra, anche disoccupati, emarginati, poveri che sono rimasti fuori dal boom economico che la Polonia ha vissuto malgrado la crisi entrando nell’orbita economico-produttiva della vicina Germania.
L’Europa non deve solo temere una Grexit, che sarebbe un disastro soprattutto per lei, ma un Brexit (il distacco dell’Inghilterra) e ora un abbandono della Polonia, che aumenterebbe le possibilità persino di uno scontro militare con la Russia di Putin. Ci vorrebbe perciò ben altra classe dirigente europea, per affrontare una crisi che da economica è diventata apertamente politica. Si rafforzano perciò le ragioni di una profonda svolta politica ed economica in Europa per cui si batte L’Altra Europa con Tsipras. Rinnoviamo l’impegno per la Grecia, in questi giorni decisivi, e l’adesione alla campagna unitaria europea Change4all.

Questa volta è il vento del Mediterraneo che va ascoltato se si vuole salvare l’Europa. Non è solo in gioco la sopravvivenza della Ue, ma il meglio della civiltà e dello spirito sociale che il vecchio Continente ha prodotto negli ultimi secoli.

*** L’Altra Europa con Tsipras