«La Danimarca è un paese fantastico ma i tempi sono difficili, c’è la guerra in Europa e c’è incertezza economica e i prezzi stanno aumentando per tutto ciò di cui abbiamo bisogno». Con queste parole la premier socialdemocratica danese, Mette Frederiksen, intorno alle 13 di ieri ha annunciato di aver indetto elezioni anticipate per il 1° novembre, 7 mesi prima della scadenza naturale.

COME PER LA VICINA Svezia anche nella piccola penisola che si affaccia sul Mar Baltico è previsto il “parlamentarismo negativo” ovvero un governo può rimanere in carica senza che la maggioranza assoluta dei suoi membri lo sostenga a patto, però, che non gli voti contro con apposita mozione di sfiducia. Una mozione che sembrava, invece, imminente ad opera dell’opposizione di centro destra ma anche con il sostegno dei Radikale Venstre, il partito social-liberale che appoggia insieme alla sinistra il monocolore di minoranza socialdemocratico. L’origine della mozione si riferisce alla decisione, del novembre del 2020, con la quale il governo di Mette Frederiksen diede l’ordine di abbattere 16 milioni di visoni visto il diffondersi di una nuova variante del Sars-Covid nell’animale, allevato nella penisola per la sua pregiata pelliccia. Quella decisione, molto contestata, portò alla creazione di una commissione d’inchiesta che ha concluso i lavori questa estate segnalando molti errori e omissioni da parte del governo in quella scelta. Le opposizione di centro destra stavano, quindi, anche valutando l’ipotesi di impeachment per la premier ma la richiesta dei social liberali, alla luce dell’esito della commissione, di indire nuove elezioni prima della ripresa autunnale dei lavori del Folketinget (il parlamento danese) prevista per oggi, pena il loro voto di sfiducia, hanno indotto la leader socialdemocratica alle dimissioni.

L’AFFAIRE DEI VISONI seppur rappresenti il motivo formale della fine del governo ha ragioni che durano dall’inizio della legislatura e riguardano proprio le scelte politiche della premier che, come nel caso dei visoni, sono state all’insegna del decisionismo a fini propagandistici salvo, poi, rivelarsi in molti casi avventate o addirittura sbagliate.
La Danimarca inoltre sta affrontando come tutti i paesi europei la crisi derivata dagli aumenti dei costi energetici e i provvedimenti fino ad ora adottati (aumento degli assegni famigliari e rateizzazione delle bollette) non sono apparsi per nulla convincenti. È proprio la crisi economica determinata dai rincari dei prezzi dell’energia il tema sul quale si misureranno, in queste tre settimane di campagna elettorale, le diverse forze politiche. La premier uscente ha già dichiarato che punta come leader del primo partito (24% secondo i sondaggi) a guidare un nuovo governo anche con le opposizioni dei liberali (13%) e dei conservatori (12%) e con tutte le forze «responsabili» che siederanno a Christiansborg, il palazzo dove hanno sede il parlamento, il governo, la corte suprema e la famiglia reale. Sia l’alleanza rosso-verde (8%) che i socialisti popolari (8%) hanno già dichiarato di essere contrari a un governo di “unità nazionale”.