Non bastano le percentuali bulgare per l’ex generale Abdel Fattah al-Sisi. La sua idea di democrazia si fonda sull’en plain: la sua lista «Per l’amore dell’Egitto» ha ottenuto il 100% dei seggi (60 su 60), nei risultati parziali del primo turno delle elezioni parlamentari in corso in Egitto. L’unica coalizione che avrebbe potuto ottenere qualche seggio era legata ai salafiti de el-Nour, che hanno appoggiato il golpe militare del 3 luglio 2013 e avevano superato il 20% alle elezioni del 2012, ha fallito completamente. Il portavoce del partito el-Nour, che ora dovrà decidere se ritirarsi dalle elezioni, Younes Makhyoun, ha definito il voto in corso «uno dei peggiori nella storia del parlamento egiziano e un momento nero di questa era».

L’unica altra lista che ha ottenuto un numero significativo di voti è «Per il futuro della nazione». Il gruppo include un manipolo di giovani sconosciuti (punto che corrobora le accuse di brogli mosse da vari esponenti della società civile), guidati da Mohamed Badran, che gode di una stretta amicizia con al-Sisi. Si tratta in qualche modo degli eredi di Tamarrod (ribelli), la campagna di raccolta firme, infiltrata dall’Intelligence militare, che ha finito per permettere il colpo di stato militare del 2013. Il voto proseguirà con i ballottaggi del primo turno da lunedì a mercoledì e il voto nei restanti governatorati tra novembre e dicembre.

Oltre ai giovani vicini ai militari, altre due liste sembrano avere chance di ottenere dei seggi nel nuovo parlamento: il partito degli Egiziani liberi di Naguib Sawiris e i liberali del Wafd. Che siano due partiti di destra a essere i più facilmente integrabili nel regime militare di al-Sisi dimostra una volta di più una cosa davvero rilevante. L’immagine di nuovo Nasser che al-Sisi ha voluto costruirsi è completamente fasulla. Pur di disattivare l’anima sociale delle rivolte del 2011 e bloccare il movimento operaio, i militari hanno fatto passare il messaggio che avrebbero soddisfatto le necessità sociali delle masse meglio dell’islamismo politico. Il governo ad interim di Beblawi e Mahleb, pur includendo delle personalità di sinistra, non ha mai preso un solo provvedimento comparabile alle decisioni in politica economica di Gamal Abdel Nasser.

Non solo, continui tagli ai sussidi, stop agli scioperi e capitalismo di stato, inteso come grandi opere (estensione Canale di Suez) e incentivi agli investimenti esteri, sono stati al centro dei primi due anni di vita del regime militare egiziano. Nonostante questo, il paese è ben lontano dall’essere stabilizzato. Soltanto ieri sono state uccise venti persone e 78 sono state arrestate nel Sinai, a Rafah e Sheikh Zuweid. Tra questi c’erano alcuni uomini sospettati di terrorismo. Sono ormai centinaia i morti di forze di sicurezza, jihadisti e beduini nella regione. Da mesi è stato imposto un coprifuoco notturno, mentre sono arrivate costantemente le minacce di Beit al-Meqdisi, sedicenti jihadisti affiliati allo Stato islamico in Siria e in Iraq (Isis).

In questo contesto incandescente, sono ripresi gli scioperi nelle fabbriche tessili di Mahalla al-Kubra, nel Delta del Nilo. Migliaia di operai hanno incrociato le braccia in protesta contro il mancato conferimento dei bonus mensili del 10%, promessi da al-Sisi. I lavoratori hanno minacciato di boicottare il secondo turno delle elezioni se non riceveranno il dovuto.

Proprio in coincidenza con le principali proteste nelle fabbriche si sono registrati i cambiamenti politici più significativi, dalla destituzione dell’ex presidente Hosni Mubarak, al colpo di stato anti-Morsi fino al rimpasto di governo che ha defenestrato l’ex premier Beblawi. Insomma, la riattivazione del movimento operaio potrebbe essere la principale fonte di preoccupazione per al-Sisi, ben più del ritorno dei mubarakiani in parlamento.