Nel panorama delle più recenti edizioni critiche di drammi di Sofocle, si distingue per profondità di analisi, per ampiezza di fonti e testimonia vagliati e di indagini sul testo e sulla sua costituzione, l’edizione dell’Elettra per la Fondazione Valla a cura di Francis Dunn e Liana Lomiento, con a fronte la preziosa traduzione di Bruno Gentili (Mondadori, pp. CXX-416, e 50,00). Con questa nuova Elettra si compie un ulteriore passo verso la restituzione di un Sofocle meno scontato sia sul piano dell’interpretazione dei valori drammaturgici, sia sul piano più strettamente filologico, e metrico.
Grimaldelli di questa speciale discoverta del vero Sofocle, e in specie del Sofocle tardo, anzitutto l’interpretazione originale che della struttura drammatica dell’Elettra fornisce l’articolata introduzione di Dunn; in secondo luogo, l’investigazione condotta da Liana Lomiento sui testimoni della tradizione. Sin dall’inizio, nella «nota al testo», si fa presente al lettore quanto sia complessa la costituzione del testo del dramma, a partire dai circa duecento codici che ce lo tramandano e spesso risentono di fenomeni di trasmissione orizzontale, di contaminazione, donde l’ovvia impossibilità di una ricostruzione meccanica, lachmanniana, di archetipo. La Lomiento chiarisce immediatamente che i codici presi in considerazione dagli editori moderni sono appena il dieci per cento del totale, e fa tesoro delle ultime acquisizioni, che indicano come tale approccio sia rischioso, stante l’ovvia considerazione, di pasqualiana memoria, che talune varianti di notevole interesse possono individuarsi anche in manoscritti più recenti o snobbati da impostazioni critiche più tradizionali. Alla restituzione del testo offre inoltre l’apporto delle sue amplissime competenze metriche, che le consentono di attuare un vero e proprio lavoro di restauro delle parti liriche del dramma, dalle monodie dei personaggi ai canti del coro. Così parodo, stasimi e canti a solo dell’Elettra assumono uno spessore e una complessità che hanno il sapore di un vero e proprio restyling metrico, foriero di una piccola grande rivoluzione nel modo di divinare la forma (e il testo) dei membri e dei periodi ritmici dei cori dell’ultimo Sofocle, il quale rivela pertanto, contro ogni precomprensione classicistica, una spregiudicata autonomia rispetto all’eccessivo rigore della responsione fra le strofe, e alla normalizzazione che molta filologia impone a ritmi e cadenze considerate pregiudizialmente aberranti.
A tanta originalità di approccio sul piano della costituzione del testo, fa da perfetto controcanto l’indagine lucida che Francis Dunn premette al dramma. Presentando una limpida sintesi della sua esplorazione di lungo corso del teatro antico, e dell’Elettra di Sofocle in specie, egli si sofferma sull’anomalia drammaturgica che la versione sofoclea della vendetta di Elettra offre allo spettatore, ponendo anzitutto in evidenza come Sofocle agisca mettendo in parentesi, nello spazio esterno alla scena, l’attuazione del matricidio da parte di Oreste e Pilade, e dunque l’intera azione del dramma, che invece nel più antico modello rappresentato dalle Coefore di Eschilo costituiva l’essenza stessa dell’opera tragica. Delineando questo peculiare modo sofocleo di riproporre il dramma di Elettra e di Clitemnestra, Dunn ci racconta di una tragedia in cui le simulazioni, le diversioni e gli stratagemmi dei protagonisti, Oreste e la persona muta di Pilade, accompagnati dal loro precettore, sono di fatto relegati in una cornice di sotterfugi slittati nell’ombra del retroscena, con coerente applicazione di un espediente scenico a cui il tradizionale precetto antico di non rappresentare coram populo l’eccidio pone non il vincolo della convenzione, quanto piuttosto il perfetto alibi registico. Al posto dell’azione di Oreste, campeggia l’interiorità spiazzante di Elettra, che segna il record assoluto di presenza protagonistica fra i drammi sofoclei a noi pervenuti, e in luogo dell’azione drammatica effettivamente agita, delinea la mise en scène della vendetta come dinamica psichica, narrata, vissuta e prefigurata tutta nello spazio privato, coscienziale, dell’eroina.
A questa interpretazione rivisitata del dramma, e al suo testo brillantemente restituito, offre il dovuto servizio di interprete per il lettore italiano la traduzione di Bruno Gentili (scomparso nel 2014), che fa dell’usuale, accademico rigo di prosa ritmica funzionale alla resa dell’opera, uno strumento vigile di ricreazione della tragedia nella lingua d’arrivo. L’Elettra italiana di Gentili assume la veste di un poema atonale drammatico teso fra rappresentazione, narrazione e discorso lirico recitato. È, quella di Gentili, una versione onesta e fedele, decisamente (con piacevole sorpresa del lettore) source-oriented, senza cedimenti al gusto livellatore e addomesticatore di molte traduzioni di tragici antichi. Tuttavia il dettato stilistico immediato e diretto degli stichi prosastici che Gentili fa corrispondere a ogni verso o colon dell’originale, ci restituisce nella sua semplicità più di una nota armonica del grande banchetto di Omero a cui, nello sceneggiare i miti in vario modo legati al ciclo troiano, i tragici di età attica attingono.