Si può vincere anche perdendo. E non solo perché i commenti politici del giorno dopo le elezioni sono da sempre un campionato di arrampicata sugli specchi, dove non perde mai nessuno. Ma anche perché stavolta è facile specchiarsi nelle sconfitte dei propri avversari e non guardare ai propri insuccessi.

Il Pd, soprattutto, commenta la «netta sconfitta», «flop», «crollo» dei grillini (nelle parole dei dirigenti del partito) e dice pochissimo dei suoi risultati. Se non che «il centrosinistra unito vince». Che però non è la linea politica di Renzi.

E infatti l’unità nei territori il Pd l’ha fatta non con i partiti della sinistra, ma quasi solo con le liste civiche, ovunque numerose. Tanto da rendere impossibile un’analisi del voto generale e nazionale. Ammesso che al partito interessi farla, perché quando (2014) nella rossa Emilia si aprì la voragine dell’astensione, il commento di Renzi fu «peggio per gli astensionisti». Ieri il segretario ha detto di non voler fare «chiacchiere» ed è andato in visita ad Amatrice.

Eppure l’astensione c’è stata e ha colpito pesantemente il Pd. Ma andiamo con ordine.

Il sito Youtrend ha calcolato che nei 142 comuni con più di 15mila abitanti la media del Pd è 16,6%. Molto bassa per un partito che ambisce al 40%, ma si spiega con il boom delle liste civiche di centrosinistra, tutte assieme stimate al 20,2%.

Il fenomeno riguarda anche il centrodestra, in misura ridotta perché attorno a Forza Italia ci sono sempre due partiti: Lega e Fratelli d’Italia.

E così, se la fotografia del ritrovato bipolarismo italiano dice che i candidati a sindaco del centrosinistra e del centrodestra hanno guadagnato insieme il 72% dei voti (mentre quelli a 5 Stelle non sono arrivati al 10%), bisogna anche aggiungere che per il centrosinistra ben due terzi del contributo arriva dalle liste civiche mentre per il centrodestra è circa una metà.

Dalla prospettiva del Pd è davvero difficile esaltarsi guardando ai numeri dei ballottaggi.

Nell’insieme dei comuni maggiori il Pd con le civiche ha raggiunto il ballottaggio in 86 casi mentre in centrodestra in 89 e parte in vantaggio tre volte di più.

Restringendo l’analisi ai 22 ballottaggi dei comuni capoluogo, Pd e Forza Italia saranno presenti in 20 casi ma il centrodestra parte in vantaggio 15 volte e il centrosinistra solo 4.

Il calcolo è del senatore Mdp Fornaro che nota come «centrodestra e centrosinistra si sono scambiati i ruoli rispetto a cinque anni fa»: questa volta è la galassia berlusconiana che fa la lepre e i renziani inseguono. La volta scorsa il Pd era in vantaggio in 13 casi e il centrodestra in appena due.

Assai più difficile valutare la performance del partito democratico in termini percentuali, anche laddove perde seccamente nel confronto con le precedenti comunali. Sia a Padova che a Parma, ad esempio, il Pd lascia sul campo 11 punti percentuali e mezzo. Ma a Parma ha adesso, e solo adesso, al suo fianco una lista del candidato sindaco che raccoglie il 13% abbondante, dunque si può immaginare un travaso di voti. Mentre a Padova, dove il Pd si è presentato con un simile contorno «civico», la perdita è più evidente perché quattro anni fa aveva già con sé liste persino più forti.

In tutta Italia è crollata la partecipazione.

La media nazionale dell’affluenza al 60% (era al 66,85%) nasconde abissi come quello genovese, dove ha votato meno della metà degli aventi diritto (48,39%).

E con l’analisi dei flussi elettorali in sette città, l’Istituto Cattaneo fa suonare un nuovo campanello d’allarme per il Pd: la fuga dei suoi elettori verso l’astensione. «Diversamente dal passato, questa volta nel passaggio tra elezioni politiche ed elezioni “di secondo grado” sono più gli elettori del Pd che quelli del centrodestra a passare nell’astensione», riassume il professor Rinaldo Vignati che ha curato le ricerche, «e questo in alcune città provoca un ribaltamento nei rapporti di forza, ad esempio a La Spezia». Nella città ligure il centrosinistra ha visto circa il 20% dei suoi elettori indirizzarsi verso l’astensione.

Molto peggio è andata a Genova, dove il 23% degli elettori di Doria nel 2012 si è astenuto e addirittura un terzo degli elettori che nel 2013 avevano votato Pd alle politiche è rimasto a casa.

Il flagello dell’astensione nel passaggio tra le politiche del 2013 e il voto di ieri ha colpito il Pd anche a Piacenza (33% di elettori dem in fuga nel non voto) e Pistoia ( 30%). Ma ha colpito, ed è un dato interessante, anche il M5S. Che in genere perde elettori verso l’astensione solo nel confronto con le politiche, perché paga la carenza di classe dirigente locale.

Questa volta anche nel passaggio tra elezioni omogenee una quota di elettori grillini (il 7,5% ad Alessandria, il 12% a Padova) è rimasta a casa. Moltissimi a Parma, dove quasi un ex elettore di Pizzarotti su due (il 46%) non ha votato. E così, secondo Vignati, «in alcune città il M5S è tornato ai livelli del 2012, quando non era ancora una forza politica di primo piano».