Dimenticata dalla scena geopolitica mondiale, in contemporanea con l’arrivo dell’ambiguo Donald Trump alla Casa bianca, l’Ucraina torna a far sentire lo sferragliare dell’artiglieria e delle bombe, per riguadagnarsi una posizione importante nel panorama internazionale.

GLI INGREDIENTI sono sempre gli stessi: accuse reciproche tra Kiev e Mosca su chi abbia iniziato prima a sparare e il consueto destino micidiale dei civili, perché il luogo dei recenti combattimenti, snodo fondamentale tanto industriale quanto strategico, rischia l’evacuazione. Insieme ai civili, almeno 8mila persone a rischio spostamento a causa della mancanza di acqua ed elettricità, conseguenza degli scontri dei giorni scorsi, se la sarebbero vista brutta pure dei lavoratori, minatori rimasti chiusi e poi infine risaliti in superficie a seguito dei bombardamenti. La città al centro delle nuove trame belliche è Avdiivka, il più grande centro in Europa per quanto riguarda carbone e impianti chimici.

Conquistata dai ribelli nel 2014, poi ripresa dai governativi, è diventato un luogo da difendere da parte di Kiev, sia per l’importanza industriale della città (se venisse presa dai ribelli Kiev avrebbe seri problemi per fornire le proprie industrie dell’acciaio), sia perché si tratta di uno snodo di comunicazione fondamentale per l’approvigionamento e il trasporto di armi. Avdiivka è nei pressi di Donetsk, sul confine della zona controllata dei ribelli.

NEI COMBATTIMENTI ci sarebbero stati morti tanto tra i miliziani del Donbass, quanto tra soldati, almeno sette, dei battaglioni di Kiev; ma come al solito la situazione peggiore viene vissuta dai civili, che si ritrovano improvvisamente catapultati in una situazione di guerra, con negozi chiusi, strade sbarrate, al freddo e senza acqua e con il rischio di finire in mezzo a conflitti a fuoco. Le linee dei fronti infatti sono vicini, una circostanza che ha buon gioco nel consentire alla due parti di accusarsi reciprocamente.

IL CREMLINO infatti ha puntato il dito contro Kiev: «Tali azioni aggressive delle forze armate ucraine – ha dichiarato il portavoce di Putin, Dmitri Peskov – stanno minando la messa in atto degli accordi di Minsk. Compiendo queste azioni aggressive le autorità ucraine cercano di distogliere l’attenzione da una situazione interna molto precaria». Il portavoce del Cremlino – accusato di sostenere militarmente i separatisti del Donbass – ha poi affermato che «ieri non sono state unità militari ucraine ma alcuni battaglioni di volontari nazionalisti a cercare di attaccare il territorio controllato» dai ribelli «con il sostegno dell’artiglieria delle forze armate ucraine». «L’attacco è stato respinto», ha dichiarato Peskov. Da parte sua, Kiev, accusa i russi e i filorussi del Donbass di aver cominciato lo scontro a fuoco. La situazione è stata considerata talmente rischiosa da costringere il presidente ucraino, Petro Poroshenko, a fare un veloce ritorno in patria, nonostante fosse impegnato in una visita di stato in Germania.

DOPO GLI ACCORDI DI MINSK, la situazione in Ucraina è paragonabile al concetto di «guerra congelata»: un accordo che ha sancito una tregua, labile, ma non un accordo di pace capace di redimere le questioni territoriali. A questo va aggiunto il fattore Trump: è evidente che la paventata vicinanza del neo presidente americano con il presidente russo Vladimir Putin, ha messo in allerta Kiev che fino ad oggi ha potuto contare sul sostegno europeo, quasi unanime, per quanto riguarda le sanzioni e soprattutto sull’interessata partecipazione statunitense.

GLI USA FIN DALLA MAIDAN hanno dimostrato grande attenzione all’Ucraina, spingendo anche in ambiti internazionali, come ad esempio il Fondo monetario, perché a Kiev venisse dato il sostegno economico per fare fronte a una situazione ormai fallimentare. E così, di fronte alla possibilità di accordi tra Usa e Russia, anche per quanto riguarda l’Ucraina, in direzione non proprio gradita a Kiev, le tensioni registrate in queste ultime ore vengono utilizzate dal governo di Poroshenko. Ma ad ora, tra le dichiarazioni di condanna dei nuovi scontri, non ne è arrivata neanche una da Washington.