Le singolari e drammatiche vicende biografiche di Elena Garro ne hanno offuscato a lungo la traiettoria letteraria, eppure si tratta di una delle scrittrici messicane più brillanti e più controverse del Novecento. Ebbe un matrimonio burrascoso con il futuro premio Nobel Octavio Paz, durato dal 1937 al 1959, si ritrovò in una posizione ambigua rispetto all’eccidio del 2 ottobre 1968, quando l’esercito sparò sulla folla radunatasi a Tlatelolco per protestare contro le violenze della polizia, partì in esilio ventennale tra Stati Uniti, Spagna e Francia insieme alla figlia Helenita, infine tornò in Messico nel 1994 dove morì in assoluta povertà pochi anni dopo: sono dolorosi episodi la cui fama precede i frutti della raffinata scrittura di Garro, che comprende pièces teatrali, romanzi, racconti, praticamente inediti in Italia.

Anche il volume Memorie di Spagna 1937 (a cura di Paolo Ferrari e Rocío Luque, Editoriale Jouvence, pp. 222, € 14,00; a Rocío Luque si deve pure la traduzione di I ricordi dell’avvenire, l’unico libro di Garro finora disponibile in italiano), esalta uno dei frammenti di questa biografia straordinaria – la partecipazione al II Congresso Internazionale degli Scrittori Antifascisti in Difesa della Cultura, che si svolse tra Barcellona, Valencia e Madrid nel pieno della guerra civile spagnola– e merita l’attenzione del pubblico specializzato proprio in virtù del suo valore di testimonianza eterodossa di un momento cruciale della storia intellettuale del XX secolo.

Come ricorda Paolo Ferrari nell’introduzione, la guerra civile spagnola scosse le coscienze degli intellettuali, che si mobilitarono numerosi accorrendo dai due lati dell’Atlantico. Elena Garro, allora poco più che ventenne, accompagnò la delegazione messicana di cui faceva parte Paz e diventò commentatrice pungente dell’intellighenzia internazionale con cui condivise quei giorni febbrili, osservandola da una marginalità che le concedeva estrema libertà nei giudizi.

Alejo Carpentier, Pablo Neruda, Cesar Vallejo, Vicente Huidobro, Luis Cernuda, Rafael Alberti, María Zambrano, sono alcuni degli intellettuali di cui Garro ci offre un ritratto mai indulgente, registrando le tensioni che animavano il variegato fronte comunista di quegli anni convulsi, rispetto al quale ribadisce sin dall’esordio la propria distanza: «Non avevo mai sentito parlare di Karl Marx. Senza sapere né come né perché, andavo a un congresso di intellettuali antifascisti, anche se io non ero né anti niente e nemmeno intellettuale, ero soltanto una studentessa e una coreografa universitaria».

Quel che dice era vero nel 1937, ma un mutamento di prospettiva maturò poi nei decenni che separano quegli eventi e il momento della loro scrittura, risalente all’incirca al 1986.

Le vicende intercorse in quel mezzo secolo obbligano allora a rileggere le insistite professioni di indifferenza verso la politica, l’enfasi sul dispotismo dell’ex marito, il disprezzo per gli intellettuali e la mediocrità dei potenti, non solo come una memoria intima dell’esperienza spagnola, ma come la testimonianza di una scrittrice dalla biografia tormentata che non rinuncia, ancora una volta, al proprio punto di vista intenzionalmente eccentrico e rivendica la propria personale versione dei fatti.