“Tevere” è un documentario di poco più di un’ora passato giovedì scorso alla Festa del Cinema, a firma di Massimo Saccares, un film vivo, appassionato, su tutte le forme di vita che lungo il corso del fiume, dal Monte Fumaiolo a Fiumara Grande, trovano il proprio habitat, dalla fauna avicola dei primi chilometri (Montedoglio, Todi, l’oasi di Alviano con i limitrofi resti romani) a quella umana che si addensa principalmente nel tratto che attraversa la Città Eterna. Massimo Saccares è personaggio eclettico, regista indipendente, produttore in proprio di audiovisivi, esperto – anche – di disturbi alimentari (è autore di un reportage in tre puntate sull’anoressia), scrittore per il teatro e autore di un romanzo in cerca di editore. Un fiume dunque vissuto sulle sue sponde e non più distrattamente osservato dalle spallette dei lungotevere. E la sorpresa è costituita dall’umanità variegata che lungo le sue rive vive e ricorda e costituisce il tessuto connettivo dell’Urbe non da tutti conosciuto ma a tutti comune esperienza che viene portata in ‘superficie’ da un film che può avere, anche, una valenza antropologica per la descrizione dei tipi nel loro divenire e che costituiscono la memoria storica del territorio. Vogliamo parlarvi di Dario Fogo, un veneto che passò da queste parti da ragazzo e ci rimase tutta la vita, oggi a capo della Tirrenia Tòdaro, la più antica società romana di nuoto. Facciamo la conoscenza di Raspone, pescatore avanti con gli anni e memoria storica del fiume, dal quale apprendiamo che nelle sue acque si gettavano un tempo ben 15 fonti di acqua minerale che i romani regolarmente attingevano; tre delle quali famosissime, la Pimpinella, l’acqua Acetosa, la Angisiana. L’Acetosa è tuttora in servizio, l’Angisiana fu deviata dal Vaticano entro i perimetri del suo Stato ad esclusivo uso dei suoi residenti. Ecco Franco Serantoni detto er Pomata, figlio der Paino, uomo dalla eleganza leggendaria e Franco degno figlio, che curava in modo maniacale la sua folta capigliatura. C’è l’erede dei Signoracci, preparatori di cadaveri e imbalsamatori, oggi in forza all’Università La Sapienza, erede dicevamo di Giovanni detto Vetrinone perché esponeva quello – allora aveva il suo gabinetto all’isola Tiberina – i morti affogati a fiume dietro una grande vetrata. Visitiamo le cantine di «Giggetto», storico ristoratore del ghetto, che si dipanano sotto terra fin verso le acque del fiume. Ci è dato assistere alla processione acquatica della Madonna Fiumarola, durante la Festa de’ Noantri, salutano quasi festosi i diseredati accampati sotto le volte dei ponti in ricoveri improvvisati di cartone; facciamo la conoscenza di un’americana, Kristin Jones che, al pari di Fogo, arrivò a Roma da ragazza e non l’abbandonò più. A tal punto innamorata della città e del suo fiume da fondare una onlus, «Tevereterno», creata per la sua salvaguardia. Nei barconi all’àncora (ricordate «Er Ciriola»? bene, non tutti sanno che in vernacolo ‘ciriola’ sta per ‘anguilla’) che fanno anche ristorazione, vitelloni âgé -sappiamo di qualcuno che metteva tra le dita degli stuzzicadenti per un’abbronzatura ‘totale’ !- prendono il sole e fra questi spicca Enrico Todi, vero e proprio arbiter elegantiarum, noto gallerista d’arte, segretario dello scultore Mastroianni e, a seguire, amico fraterno del nipote Marcello, e di Fellini che a via Margutta abitava a dieci metri dalla sua galleria. Todi, nel film, dopo una serata di bisboccia si accomiata dai crapuloni con un saluto carico d’affetto: «Ve possino ammazzavve a tutti quanti, è stato ‘n piacere».
Saccares, con il suo Tevere, ci parla pure, in modo poetico, della romanità, di un modo di stare al mondo che sembrava perduto e invece resiste nei testimoni del tempo che passano davanti alla sua macchina da presa. Personaggi che interagiscono legati al calembour, al bon mot, sulla stura dei ricordi ma mai in chiave melanconica, struggente anzi, come custodi di un tempo che si perpetui in una sorta di tradizione orale che i più giovani sapranno tramandare come virtuali staffette. Per tutto questo il suo film si pone come contraltare di Sacro GRA, in un racconto però meno frammentario e più pulsante di quello, più omogeneo. Della mano del regista abbiamo parlato, dovremmo solo aggiungere che è un film auto prodotto e quindi auspichiamo che acquirenti attenti gli rendano il merito che gli spetta pari all’attenzione che la Festa gli ha riservato selezionandolo. Ma ci corre l’obbligo di menzionare Raoul Torresi, il direttore della fotografia. Erano anni che non vedevamo una definizione così nitida dell’immagine e, allo stesso tempo, un’invenzione così originale del colore e dei movimenti. Per la cronaca Torresi si è trasferito negli Stati Uniti perché non riceveva più committenza.