Si chiama Proboscis ed è  il progetto che l’ingegnera Lucia Beccai dell’Istituto italiano di tecnologia presenterà al pubblico il prossimo sabato, nell’ambito del Festival delle Scienze di Roma presso il teatro studio Borgna dell’Auditorium. È il frutto di ricerche, finanziate dall’Ue, che mirano alla creazione di un robot manipolatore universale basato sullo sviluppo in laboratorio delle caratteristiche biologiche di un organo sensibile e percettivo come la proboscide dell’elefante africano, un muscolo idrostato che non modifica il suo volume: se si accorcia si allarga, se si allunga si stringe. Una particolarità in comune con tante abili strutture molli: i tentacoli del polpo, le lingue multitasking del camaleonte e della giraffa.
Organi che si estendono, si torcono, si comprimono senza disperdere energie e sovraffaticare il cervello. Congegni che chiariscono quale sia il valore reale dell’intelligenza, con la sua capacità di adattarsi per svolgere nella maniera più adeguata il compito necessario in un determinato contesto; definiscono l’essenza di una macchina naturale; ammoniscono quelle artificiali sull’impossibilità di rinunciare alla propria fisicità.

Il mastodontico elefante può dunque aiutare la robotica a diventare agile?
Sembra un paradosso, ma è proprio così. La Soft robotics utilizza materiali cedevoli, che non hanno giunti e interagiscono semplicemente con l’ambiente. In letteratura scientifica, invece, la maggior parte degli studi sulle braccia artificiali segue criteri di tipo ingegneristico: mettere insieme dei pezzi con dei nodi intorno ai quali si articolano i movimenti. In natura, questo non si verifica mai.
Osservando gli elefanti mi sono resa conto della loro ipersensibilità tattile e sono rimasta affascinata dalla proboscide, un modello capace di implementare prese fini e, allo stesso, tempo robuste. Anche se per l’olfatto si servono di duemila ricettori, oltre il doppio di quelli dei cani, per loro è il tatto il senso fondamentale. Dopo essersi immersi in tale multiverso tattile, si spera che biologi, biofisici, scienziati dei materiali e robotici riemergeranno con una nuova tassonomia di manipolazione che si lasci alle spalle lo schema del braccio continuo con una pinza in fondo, per il cui controllo bisogna dare un ordine a ogni singolo componente. L’elefante ha tantissimi muscoli, non può controllarli tutti separatamente. Come farebbe altrimenti a destreggiarsi con efficienza senza sprecare troppe energie?

Anche perché le responsabilità assegnate alla proboscide sono molteplici…
Soprattutto nel campo dell’interazione sociale. I nostri collaboratori svizzeri dell’Università di Ginevra hanno potuto sezionare proboscidi provenienti da pachidermi deceduti negli zoo. Ma se poi non fossero andati in Sudafrica per esaminare dal vivo il loro comportamento, mai avrebbero potuto pubblicare uno studio cruciale in cui si dimostra che la ridondanza muscolare viene risolta dall’elefante riconducendo il controllo a una dozzina di strategie motorie. Ora è da scoprire l’architettura gerarchica dei muscoli della proboscide, specialmente in prossimità della punta.
Il ricercatore statunitense Joshua Plotnik ha fondato l’associazione Think Elephants in Thailandia, dove il dramma nel bracconaggio non è esploso, ma la sovrappopolazione umana sta causando difficoltà di convivenza con gli elefanti, che spesso saccheggiano i campi agricoli. Da qui, l’urgenza di riuscire a comunicare con loro. Secondo Plotnik, finora l’abbiamo fatto malissimo perché abbiamo dato per scontato che utilizzassero principalmente la vista. In realtà, però, la loro guida è l’olfatto. Con il naso scelgono la quantità di cibo opportuna, riuscendo perfino a capire quale sia il recipiente di maggiori dimensioni. E la proboscide, dotata di propriocezione – il senso della posizione nello spazio – è un periscopio: al Kruger Park si è osservato come la adoperino per orientarsi, scegliendo la strada giusta sulla base degli odori, per altro percepiti a notevole distanza.

Oltre all’olfatto, anche il tatto è per loro più importante della vista. Può essere utile progettare un arto artificiale che percepisca la sua posizione nello spazio grazie alla sensibilità della pelle?
In alcuni scenari sarebbe l’unica possibilità: per esempio se si deve cercare una persona intrappolata sotto le macerie, in assenza di visibilità. Il tatto è il senso primordiale, essenziale per i microrganismi. La fisicità è imprescindibile per un essere vivente: è attraverso il corpo che ci si relaziona con la realtà. I robot attuali, però, non hanno fisicità: una struttura rigida con articolazioni rigide, priva di tessuti in grado di deformarsi, non può avere una sua fisicità.
Vorremmo inoltre capire in quale misura la forma della pelle influisca sulla codifica dei segnali. Le analisi istologiche evidenziano che alcuni degli afferenti neurali siano dei meccanocettori paragonabili a quelli umani. I sistemi artificiali, invece, anche se costituiti da materiali avanzatissimi appaiono piatti: sono pur sempre dei circuiti elettronici. Tuttavia, se vogliamo una pelle artificiale che senta la forza e la precisione, la pressione e la vibrazione, possiamo limitarci a un circuito elettronico? È qui che ci viene in soccorso la computazione morfologica: il tatto deve essere esaminato non concentrandosi su una funzionalità precisa, ma su ciò che il sistema proboscide nel suo complesso deve fare per espletare al meglio l’incarico richiesto.

Come pensate di procedere?
Vogliamo creare un prototipo biomeccanico, senza elettricità. La pelle dell’elefante ha pieghe e rugosità pronunciate: se stimolo dinamicamente la struttura e monitoro come reagisce, capisco quali materiali sono più sensibili agli stimoli esercitati e posso lavorare a una nuova generazione di pelli che sfrutti la morfologia per un design intelligente, in modo tale da sopravvivere in condizioni difficili. Le pelli elettroniche al momento a nostra disposizione rischiano di sciogliersi dopo tre minuti nel deserto e, tra i detriti, si rovinano irrimediabilmente. In fondo, gli elefanti sono soprattutto maestri di semplicità. Forse buona parte della tecnologia che continuiamo incessantemente a sviluppare ci apparirà un giorno superflua.
Oltretutto, un deciso monito viene dal diritto del pianeta Terra alla sostenibilità dell’operato umano. Ogni tecnologia sperimentata ricade sull’ambiente. Non ha perciò senso rincorrere il più veloce dei chip possibili che codifichi la più potente delle forze ipotizzabili. Basterebbe poter contare su robot che funzionino in maniera naturale: ciò che importa è solo l’efficacia in relazione allo scopo da raggiungere.

 

SCHEDA

Da lunedì 22 fino al 28 novembre torna all’Auditorium Parco della Musica la XVI edizione del Festival delle Scienze di Roma. Il tema di quest’anno sarà «Sfide». Si scopriranno con astronauti e scienziati le sfide legate allo spazio, alla progettazione di orti spaziali e all’esplorazione di Marte, alle onde gravitazionali, ai neutrini, all’Intelligenza artificiale, alla sostenibilità digitale, agli algoritmi e ai bias cognitivi, alla mobilità sostenibile e alle smart cities. Si rifletterà sul senso e sul ruolo della scienza, oggi e in passato, con uno sguardo puntato al futuro. Prodotto dalla Fondazione Musica per Roma, con la partnership progettuale di Codice edizioni, la rassegna prevede un programma con oltre duecento appuntamenti, in presenza e in streaming, che vedranno la partecipazione di scienziati, giornalisti ed intellettuali. Tra questi la storica della scienza Naomi Oreskes, in dialogo con l’astrofisica e Chief Diversity Officer dell’Esa Ersilia Vaudo e il filosofo della scienza Telmo Pievani, l’archeologa Rebecca Wragg Sykes con l’antropologo Giorgio Manzi, l’esperta di cyber security e fondatrice della rete Women Leading in AI Ivana Bartoletti, le lectio magistralis della cosmologa Chanda Prescod-Weinstein, dell’astrofisico Mario Livio, della fisica Chiara Marletto, L’ordine nel caos, un dialogo tra complessità e fisica delle particelle con il premio Nobel Giorgio Parisi e il fisico teorico Luciano Maiani.
Sette le aree tematiche: pianeta, società e economia, salute e medicina, universo e spazio, tecnologia e innovazione, cervello e pensiero, snodi della scienza. Fra le mostre, Volti e sfide della fisica, ideata dal progetto ScienzaPerTutti dell’Infn, in collaborazione con Isia Roma Design: un omaggio a scienziate e scienziati del ’900 e alle scoperte della fisica moderna.