Un’altra richiesta di Berlusconi si appresta a essere accolta: la convocazione in una sola data delle elezioni politiche e delle elezioni regionali.

Una volta definito il percorso che porterà al rinnovo del prossimo parlamento, non sembrano esserci più ostacoli all’election day.

Del resto, anche cinque anni fa, il 24 febbraio 2013, si era votato nello stesso giorno per il parlamento e per il rinnovo dei consigli regionali di Lazio, Lombardia e Molise. Due mesi più tardi si era andati alle urne in Friuli Venezia Giulia, regione autonoma che potrebbe fissare anche stavolta una data diversa.

Quirinale e palazzo Chigi hanno concordato il percorso. Gentiloni dichiarerà concluso il suo lavoro a ridosso della fine dell’anno, Mattarella ascolterà i presidenti dei due rami del parlamento e scioglierà le camere senza che il presidente del Consiglio debba dimettersi, precauzione necessaria dal momento che per la formazione di un nuovo governo potranno volerci mesi. In questo modo le elezioni saranno fissate (la Costituzione impone solo che non si vada oltre il 70esimo giorno dallo scioglimento) domenica 4 marzo.

Nello stesso giorno si voterà per le regionali.

Ragioni di risparmio, si dice. In realtà nel 2018 il rinnovo dei consigli regionali avrebbe potuto essere abbinato anche a un’altra tornata, quella delle amministrative di primavera che vedranno alle urne i cittadini di oltre 700 comuni, tra i quali una ventina di capoluoghi (quattro proprio nelle regioni che si rinnovano: Udine, Brescia, Sondrio e Viterbo). Così avrebbe preferito il Pd, che in genere può contare su un maggiore traino dal voto nelle città e che soprattutto avrebbe avuto meno problemi di coerenza.

Nelle regioni, infatti, il centrodestra può presentare la stessa alleanza che presenterà alle politiche, innanzitutto in Lombardia dove Maroni è il campione dell’alleanza Lega-Forza Italia.

Al contrario il partito di Renzi sarà costretto a cercare accordi alla sua sinistra, cosa che a livello nazionale è impossibile.

E così a Roma e in tutto il Lazio, mentre la lista di Grasso e il partito democratico si faranno la guerra collegio per collegio alle elezioni politiche, dovranno trovare il modo di fare campagna elettorale assieme per la conferma del presidente Zingaretti, una figura che si presta a fare da cerniera tra il Pd e la sinistra.

Non è l’unico problema per Renzi, visto che la lista «di sinistra» alleata del Pd, destinata a compensare l’abbandono di Pisapia, sta registrando nuove difficoltà. Dopo l’annuncio di Zedda, sindaco di Cagliari, che non sarà candidato, anche la componente di Campo progressista che non seguirà Laura Boldrini verso Liberi e Uguali pone a Renzi una condizione: la rinuncia esplicita alla candidatura a palazzo Chigi. Nel frattempo la lista «sinistra e progresso» che sarà presentata oggi è – anche graficamente – solo un tandem tra i Verdi di Bonelli e i Socialisti di Nencini