Mancava giusto la lite sulla data delle elezioni tra il governo centrale e le regioni. Ora c’è anche questa, dopo che il governo nel Consiglio dei ministri di ieri è tornato indietro da quella che ai governatori era sembrata una disponibilità a far svolgere le elezioni regionali già a metà luglio. In piena estate, ma in una fase di tregua della pandemia, spiegavano i presidenti in carica, mentre in autunno potrebbe esserci la ricaduta. Trasparenti le motivazioni politiche: tranne che nelle Marche e in Toscana, in tutte le regioni dove le consiliature sono arrivate a scadenza – le altre sono Puglia, Campania, Liguria e Veneto – i governatori sono già ricandidati o in cerca di ricandidatura. Una nomina sul campo di battaglia è il massimo cui possono aspirare.

Il decreto «elezioni» approvato ieri dal Consiglio dei ministri si occupa innanzitutto delle elezioni amministrative, spostando di cinque mesi l’intervallo per il voto nei comuni: dal 15 aprile-15 giugno al 15 settembre-15 dicembre. Calendario alla mano si potrà votare tra domenica 20 settembre e domenica 13 dicembre, più probabilmente domenica e lunedì visto che bisognerà inventarsi un modo per evitare assembramenti ai seggi. Sarà il governo a indicare la data precisa, più avanti. Per le regionali invece le regole sono diverse, il governo può solo indicare l’intervallo temporale, e ieri lo ha fatto prorogando la durata dei sei consigli regionali in scadenza dal 31 maggio al 31 agosto. E stabilendo che le regioni potranno fissare la data del voto dal 6 settembre al primo novembre.

I governatori non l’hanno presa bene. Quattro di loro, Zaia, Toti, De Luca ed Emiliano – non a caso mancano Rossi e Ceriscioli che sono fuori gioco – hanno protestato per la cancellazione della finestra di luglio «sulla quale eravamo stati consultati con esito positivo». «L’estate – si legge in una nota congiunta – è la stagione più sicura dal punto di vista epidemiologico». E se non sarà luglio, fanno già sapere, convocheranno gli elettori «nella prima data utile consentita dal governo». Vale a dire il 6 settembre, facendo così saltare il piano del governo e nello specifico del Pd, che ha bisogno di affinare le sue scelte, che spingono per l’election day il 27 settembre.
Con l’election day, ha detto ieri il ministro D’Incà, ci sarebbe «un risparmio economico per le casse dello stato, garantendo anche il pieno esercizio dei diritti politici e provocando un minore impatto sull’anno scolastico». Argomentazione scivolosa: con le elezioni a settembre la raccolta delle firme e parte della campagna elettorale andranno fatte ad agosto. E certo i disagi per le scuole sarebbero stati minori a luglio che alla ripresa autunnale quando gli studenti saranno, finalmente, tornati in classe.