«Eleanor Roosevelt nacque due volte»: comincia così, con una frase secca e cadenzata, Eleanor Roosevelt. Una biografia politica (Il Mulino, pp. 579, euro 35). L’autrice, Raffaella Baritono, è una storica dalla formazione rigorosa, ma per questo suo nuovo libro sceglie un attacco romanzesco che rimanda inevitabilmente all’inizio di Middlesex (2002) di Jefferey Eugenides: «Sono nato due volte: bambina, la prima… e maschio adolescente, la seconda».
Niente di tanto drammatico accadde a Roosevelt, ma seppure metaforicamente la doppia nascita ci fu davvero. Baritono la presenta e discute con precisione qualche pagina più avanti e, tanto vale dirlo subito, non coincise con il matrimonio, nel 1905, col cugino Franklin Delano.

I RICHIAMI LETTERARI non si fermano qui. Nella stessa pagina Baritono prima definisce Roosevelt «il brutto anatroccolo» (lo fece prima di tutto l’interessata nella sua Autobiography) e poi, con altrettanta naturalezza, ne colloca la nascita (a New York, nel 1884) in una civiltà raffinata che fa materializzare davanti ai nostri occhi quella descritta da Edith Wharton in L’età dell’innocenza (1920). Non si tratta di scelte decorative, ma di opportunità che Baritono afferra con disinvoltura e senza perdere in autorevolezza scientifica, per esplicitare la propria cifra stilistico-interpretativa: presentare la formazione politica di Roosevelt come un ininterrotto allargamento degli orizzonti e dunque delle sfere di influenza, certo, ma anche come un destino; come se il suo soggetto fosse un «personaggio capace di interpretare magistralmente e con tutte le contraddizioni il passaggio dalla «sfera d’influenza separata» delle donne dell’Ottocento al protagonismo politico delle donne del Novecento.

La biografia politica di Roosevelt a questo punto si può snodare come un percorso a tappe che vede il «personaggio» attraversare realtà socio-politiche sempre diverse e su cui ogni volta Baritono decide di aprire spaccati ampi e dettagliati. Ecco allora le pagine ricchissime sul Partito democratico, sui suoi conflitti interni e sul ruolo avuto da Roosevelt per superare le barriere di genere; o le pagine sul suffragismo, raccontato fin dalle origini ottocentesche e in cui Roosevelt entra dapprincipio con titubanza; quelle sulla Fbi di J. Edgar Hoover o sulle Nazioni Unite, di cui Roosevelt fu il primo delegato statunitense; quelle dedicate ai movimenti sindacali e dell’associazionismo femminile cui entrò a far parte fin da giovanissima; e infine quelle sui movimenti antirazzisti che la portarono a militare accanto a leggendarie attiviste nere come Mary McLeod Bethune.

Il fine di tante digressioni è evidente: cogliere di volta in volta i modi in cui Roosevelt si avvicinò a pensieri e mondi spesso assai diversi da quelli d’origine (operai, immigrati, afroamericani), come li assorbì, come scelse amiche e amici, mentori, compagni e compagne di viaggio, costruendo passo dopo passo la propria educazione politica. E, alla fine di tutto, ecco emergere il dato più interessante: nel passare dal ruolo di giovane matrona, a political wife, a first lady e poi a diplomatica, Roosevelt non trascurò mai di utilizzare la sua capacità di influenza, di mettere a frutto quel privilegio di nascita, poi trasformato in potere, tanto utile a suscitare interessi e a promuovere politiche di cambiamento.

A questo punto, però, è necessaria un’avvertenza: a chi desiderasse conoscere meglio la vita matrimoniale di Eleanor e Franklin, gli orientamenti sessuali della prima e gli adulteri del secondo, il rapporto con i figli ecc., consigliamo, nell’ordine, il datato ma sempre utile Eleanor e Franklin (1971) di Joseph P. Lash, la biografia in tre volumi di Blanche Wiesen Cook (1992-2016) e, naturalmente, la Autobiography (1961) dell’interessata, completa dei volumi che raccolgono la sua corrispondenza.
Si tratta di testi imprescindibili cui Baritono si affida completamente, ma con misura. D’altro canto, il suo scopo non è una nuova biografia, ma una lettura di un’esistenza acclarata. In questo libro, dunque, non troveremo alcun biglietto imbarazzante rispuntato da archivi segreti né rivelazioni sulla vita privata dei potenti, ma il racconto di una formazione intellettuale scandita dagli eventi e dalle esperienze di una donna che Gore Vidal, che la frequentò dal 1959 e fino alla morte (a New York nel 1962), definì «uno degli ultimi (l’ultimo? l’unico?) fiori di quella spinosa coscienza puritana americana che fu, quando era buona, molto, molto buona, e ora che non c’è più è tutto orrendo».

Il fiore, la coscienza puritana, le spine. Vidal ha rievocato in un istante quell’idea conflittuale di America che è stata descritta da Nathaniel Hawthorne in La lettera scarlatta (1850), un romanzo che indaga il rapporto rischioso tra la libertà dell’individuo e gli obblighi verso la sua comunità, tra eredità del passato e rinnovamento del presente in vista di un futuro che con il buon operare del singolo dovrà essere migliore.

È POSSIBILE MISURARE la biografia politica di Eleanor Roosevelt tenendo a mente anche gli scampoli di quest’eredità?
L’ambiente whartoniano della famiglia d’origine, rispettabile e severo, ma non particolarmente innocente (non lo fu neppure quello di Wharton che, proprio come Roosevelt, beneficiò di una seconda nascita), non deve trarre in inganno. I Roosevelt erano una famiglia in vista che nel passaggio tra Ottocento e Novecento superò la barriera che dell’aristocratico distacco condusse a una vita sempre più pubblica. Basti per tutti lo zio Theodore, che fu presidente degli Usa dal 1901 al 1909, e di cui Eleanor sarebbe presto diventata la nipote prediletta. Da questo punto di vista l’ambiente whartoniano si configura allora come un’utile e solida base di partenza, quella che consentirà a una Roosevelt quindicenne di frequentare la Allenswood Academy di Wimbledon, vicino Londra, e di sviluppare, ricorda Baritono, la propria autonomia di giudizio grazie agli insegnamenti di un’educatrice e libera pensatrice come M.lle Marie Souvestre.

Ben poco effetto ebbero dunque su di lei, al ritorno negli Usa, il debutto in società e la splendida ma troppo alcolica leisure class newyorchese. Nel 1903, l’anno del fidanzamento, Roosevelt scelse di lavorare nella Junior League, ma diversamente dalle altre giovani filantrope del suo rango, nel giro di poco tempo si spinse fino a Rivington Street, nel Lower East Side, nel cuore di un grande movimento di riforma sociale. È il primo gradino di un’esistenza da dedicare tutta all’attivismo.
Eleanor Roosevelt ebbe una vita da grande protagonista del Novecento e, se da un lato sarebbe limitante ricordarla solo come la moglie del presidente Franklin Delano Roosevelt, dall’altro è pur vero che proprio con lei, con il suo protagonismo politico (fu gli occhi e le orecchie di un marito cui erano preclusi i viaggi faticosi e prolungati nel paese), iniziò la lunga trasformazione di un ruolo fino a quel momento secondario, che avrebbe presto condotto alla risolutezza di Hillary Rodham Clinton e all’assertività di Michelle Obama. A tale proposito vale la pena di tornare su un’altra descrizione di Vidal – anche questa reperibile nel ritratto affettuoso che lo scrittore intrecciò alla sua recensione a Eleanor e Franklin.

NEGLI ANNI «SUCCESSIVI alla Casa bianca Eleanor non ebbe più alcuna vita personale». Non intendeva dire che l’ex first lady ebbe un’esistenza arida e solitaria, bensì che la spese dedicandosi completamente e liberamente alla sua politica, consolidando il suo ruolo in quello che Baritono nel libro definisce «liberalismo progressista».
Pagine assai utili, queste ultime, perché oltre a illustrare il posizionamento di Eleanor Roosevelt all’interno del paesaggio politico statunitense chiariscono per il lettore italiano le basi teoriche, il significato e le contraddizioni di una locuzione che indica il desiderio di rimodulare l’ordine sociale, «ridefinendo i confini e le logiche di inclusione ed esclusione», pur senza rinunciare, per esempio, al bisogno di libertà individuale o all’eccezionalismo americani.
Roosevelt si dedicò all’azione sociale e alla diffusione dei diritti all’istruzione, alla partecipazione politica e al lavoro, su scala sia nazionale sia internazionale. Si trovava, come diceva lei stessa, «un poco più a sinistra del centro».