«Attenti, la mucca è aggressiva, ha appena partorito». Reinaldo Abreu Figueroa – El Tio – avverte i visitatori. Siamo nel Rancho la Guira, a 3-4 chilometri dalle spiagge paradisiache di Cayo Coco, nella parte centrale di Cuba. Tutt’intorno, una natura rigogliosa e i resti di un piccolo forno a carbone di legna, coperto di erba e terra. «Oggi non si usa più – spiega El Tio – , ma ci serve per ricordare la storia delle persone che c’erano prima a Cayo Coco. La loro era una vita dura. Non c’erano ospedali, né scuole, né botteghe. E la foresta veniva devastata perché il 90% delle cucine erano a carbone a legna…» Reinaldo, classe 1944, da bambino non è andato a scuola «perché eravamo una famiglia povera, di 15 fratelli». Ma ha sempre «avuto sete di conoscenza» e, dopo la rivoluzione, ha potuto avere un’istruzione.

Poi, Reinaldo coltiva la terra, diventa metereologo autodidatta, studia per tre anni giornalismo, scrive articoli e vince premi. Navigando in marina, diventa radiotelegrafista, poi coltivatore di canna da zucchero. E quando molti zuccherifici chiudono, dopo la caduta del campo socialista, può continuare a studiare di più, mantenendo lo stesso salario «perché la rivoluzione non ti abbandona». Racconta: «Ho ampliato le mie conoscenze scientifiche e nel 1986 sono venuto qui a costruire una stazione metereologica. Questo luogo è un paradiso, e si avverte di più il pericolo che corre l’ambiente. Il cambiamento climatico è un processo naturale, ma gli esseri umani sono colpevoli di averlo accelerato con il capitalismo devastante, il supersfruttamento dei boschi e della terra, l’eccessiva industrializzazione. Lo vediamo dalla violenza degli uragani, dall’alternanza di siccità e alluvioni, dallo sconvolgimento delle stagioni».

E Cuba cosa fa per l’ambiente? «Quando arrivò Colombo, 5 secoli fa, Cuba era coperta al 93% di boschi. Dopo la rivoluzione, solo il 14% del territorio aveva boschi. Dopo un’intensa politica di riforestazione, oggi i boschi ricoprono il 29% dell’isola, e la percentuale è più alta a Pinar del Rio». E questa nuova ondata di turismo di massa, dovuta alle «aperture» con gli Usa, non porterà alterazioni? «Siamo attrezzati. Qui a Cayo Coco esiste il Centro di investigazione dell’ecosistema costiero per la conservazione dell’ambiente, che monitora e proibisce le attività umane dove l’ecosistema non sia riparabile. Qui si è abbattuto qualche albero solo per far posto all’hotel, ma nessun edificio può superare i 4 piani né prendere lo spazio al mare. Le nostre politiche sono diverse da quelle neoliberiste. Gli imprenditori che vogliono venire a Cuba devono avere requisiti che non colpiscano l’ambiente e che proteggano i lavoratori. Da noi nessuno muore di fame o resta senza lavoro».

I salari? «Confrontati con i vostri, i nostri sembrano molto bassi. Ma qui abbiamo tutto gratuito: sanità, istruzione, cultura. Con un peso puoi andare a teatro, al cinema allo stadio. Insieme a Fidel, Raul, al Che abbiamo fatto tutta questa strada. Quando è caduto il campo socialista, a Miami si sono fregati le mani, hanno fatto le valige per venire qui ad ammazzare cubani. Ma abbiamo resistito e oggi non siamo più soli. L’America latina di Bolivar, Marti e della Patria grande si è svegliata e non chiuderà gli occhi».