Le due visite di Trump alle comunità che sabato sono state colpite da mass shooting, El Paso in Texas e Dayton in Ohio, non sono state un momento di conforto, ma l’ennesima occasione (per Trump) di fare polemica.

I rapporti erano già tesi: la sindaca democratica di Dayton, Nan Whaley, aveva dichiarato di non essere stata informata della visita del presidente che magari sarebbe andato a Toledo, riferendosi all’errore del tycoon che aveva chiamato la città dell’Ohio con il nome sbagliato.

Ancora peggiore la situazione a El Paso, il cui sindaco, Beto ’O Rourke, è uno dei candidati alla Casa bianca e in questo momento è il più duro su Trump. Beto, che è nato a El Paso, vive lì con la sua famiglia ed è molto amato, al tycoon ha ricordato di non avere ancora pagato i 500mila dollari che deve alla città per i servizi forniti per un comizio che The Donald ha tenuto lì a febbraio.

E Trump, la sera prima di andare a portare il proprio appoggio alle vittime del mass shooting, ha deriso la performance di O’Rourke alle primarie presidenziali democratiche e gli ha ordinato di «stare zitto»: «Beto (nome falso per indicare l’eredità ispanica) O’Rourke, che è imbarazzato dalla mia ultima visita nel Grande Stato del Texas, dove l’ho sconfitto, e ora è ancora più imbarazzato dal sondaggio all’1% nella Democrat Primary, dovrebbe rispetta le vittime e le forze dell’ordine – e stai zitto!», ha scritto il presidente su Twitter.

O’Rourke, che aveva invitato Trump a stare lontano da El Paso dopo la sparatoria, ha risposto al presidente twittando: «22 persone nella mia città natale sono morte dopo un atto di terrore ispirato dal tuo razzismo. El Paso non starà zitta e nemmeno io».

Per l’arrivo di Trump sono state preparate più manifestazioni di protesta che di accoglienza, come anche a Dayton, prima tappa del viaggio di condoglianze del presidente. Dall’annuncio della visita i cittadini di Dayton hanno firmato petizioni, pianificato proteste e una manifestazione con un grande pallone «Baby Trump» per esprimere il loro malcontento verso un presidente la cui retorica anti-immigrazione è stata la piattaforma del killer che ha ucciso 22 persone a El Paso.

E se la motivazione dell’uomo che ha ucciso nove persone a Dayton rimane poco chiara, il silenzio di Trump sulla questione delle armi è stato criticato dai politici locali che vogliono agire per prevenire futuri massacri: «La retorica (di Trump) è stata dolorosa per molti nella nostra comunità – ha detto il sindaco di Dayton, aggiungendo di sostenere le proteste pianificate contro il tycoon – Osservando il presidente negli ultimi anni sulla questione delle armi, non credo che nemmeno lui sappia in cosa crede».

Quelle di Dayton e di El Paso sono dimostrazioni di rabbia e ostilità molto inusuali in un momento di tragedia nazionale, ma quando i giornalisti le hanno sottolineate in una breve conferenza stampa tenuta prima che il presidente partisse, Trump ha fieramente negato l’esistenza di questo malcontento nei suoi confronti e ha aggiunto che il killer di Dayton aveva simpatie liberal favorevoli ai democratici: «Non aveva nulla a che fare con il presidente Trump», ha detto.

Ad aspettarlo davanti l’ospedale dove sono ricoverati i feriti, però, c’erano i cittadini di Dayton, uno Stato chiave per le prossime elezioni e che nel 2016 aveva preferito il tycoon a Hillary Clinton: «Non sono una persona che solitamente scende in piazza a manifestare – ha detto una donna alla Cnn che, come i maggiori network nazionali, è stata presente in entrambe le città coinvolte – ma accuso il presidente del dolore inflitto alla mia comunità. Non è gradito qui».

Queste visite di Trump ricordano quella di ottobre a Pittsburgh: centinaia di manifestanti si erano riuniti per protestare contro Trump sulla scia di una sparatoria di massa nella sinagoga di Tree of Life dove sono morte undici persone. Il killer, sui suoi account social, usava lo stesso linguaggio legittimato da Trump.