È un classico dei turisti sbarcati a Murano essere accolti e condotti in una fornace, con spiegazione gratuita, per ammirare il virtuosismo di un vetraio mentre crea un cavallino rampante. Inatteso spettacolo di maestria! Fra le calli però c’è anche aria di nuovo. Le giovani generazioni scelgono Murano: per viverci, essendo un’oasi di verde e relax, per praticare sport – l’unica azzurra ad aver partecipato alla maratona femminile alle Olimpiadi di Tokyo, Giovanna Epis, arriva dalla Venezia Runners Atletica Murano – e perché chi ha scelto di lavorare il vetro non può che abitare qui.

Quest’anno la Venice Glass Week, il festival del vetro giunto alla quinta edizione e appena concluso, ha posto l’accento sulla ripartenza del settore dopo la pandemia e sulle startup che sono nate, coraggiosamente, per dare linfa alla più affascinante delle arti. Così, fra gli oltre duecentocinquanta eventi e mostre diffusi fra Venezia, Murano, Mestre e online, molti dei quali lasciano il tempo che trovano, spicca l’apertura della vetreria El Cocal Glass Studio, di Chiara Lee Taiarol e Mariana Oliboni. L’insopportabile «quota rosa» del politically correct? No, questa è roba seria. Fino alla fine dell’Ottocento, anche nel resto del mondo, l’arte vetraria era prerogativa maschile e vietata per legge alle donne, come racconta il romanzo di Petra Durst-Benning La soffiatrice di vetro (2000). Oggi il divieto non c’è più, ma resta il pregiudizio sulle capacità di una donna nel trattare questo tipo di materia, al calore del fuoco. Il pane sì, il vetro no. Come se l’interdizione sociale, prima forma di conoscenza del fuoco – guai a giocarci! – che diventa «disobbedienza accorta» grazie al vetro (Bachelard), fosse un’esclusiva degli uomini.

Chiara, veneta di mamma americana, apprendista per dieci anni a Seattle, seconda mecca del vetro dopo Murano, si è temprata, oltre che con il fuoco, con le porte in faccia ricevute quando ha deciso di trasferirsi, per lavoro, nell’isola veneziana. Stanca di essere tollerata se non respinta, dopo il lockdown ha cercato uno spazio suo, dimostrando che, a contatto con il vetro, la forza fisica è meno importante della determinazione e della forza di immaginazione. «Il vetro è vivo e si muove», dice Chiara, che, incoraggiata da artisti locali, come Resi Girardello, pensa alla fornace come a un luogo di formazione per la creazione femminile di sculture, installazioni, oggetti d’arte contemporanea. Intanto, nell’avventura di El Cocal, «gabbiano» in veneto, si è lanciata con lei Mariana, musicista italo-brasiliana. Ha cominciato a campionare i suoni della fornace e a produrre strumenti in vetro per performance live di technopunk ed elettronica. Niente di strano che le dee madri preistoriche, plasmate dalle loro mani, tornino ad alimentare fantasticherie.