E’ possibile intervistare un principe, un signore tanto aristocratico nei modi quanto disinvolto e sempre sicuro di sé, figlio di quello che era stato la massima autorità dell’Italia del secondo dopoguerra? Sì se intervistato e intervistatore si collocano in uno spazio nel quale i rispettivi codici e le maschere linguistiche da essi generati possano dispiegarsi liberamente sulla scena. L’impresa è riuscita, e si tratta di due protagonisti d’eccezione. L’intervistato è Giulio Einaudi, il fondatore della casa editrice che creò dal nulla una nuova idea di libro, di intellettuale e di lettore, e in definitiva anche un’idea nuova dell’Italia. L’intervistatore è Severino Cesari, inventore per il manifesto della «Talpa libri», fondatore e direttore (in collaborazione con Paolo Repetti) della fortunata collana di Einaudi «Stile Libero», e poi scrittore in proprio. Il libro è Colloquio con Giulio Einaudi, uscito nel 1991 per Theoria, ripreso nel 2007 dalla Einaudi, che ne ha curato adesso una riedizione nei «Supercoralli» (pp. 235, € 18,00).
Giulio Einaudi aveva quasi ottant’anni quando il libro uscì la prima volta: quel dialogo andava a costituire una messa a punto non della biografia dell’uomo, ma dell’attività pluridecennale dell’editore, sorta nel ’33 e cresciuta ininterrottamente per un cinquantennio. Poi negli anni ottanta una bufera e un nuovo assetto finanziario. Dunque il Colloquio restituiva al lettore il diagramma di un progetto i cui esiti si erano rivelati tra i più significativi del secolo. Riproposto oggi, il libro viene di fatto a sollecitare il confronto con un modello di società e un’idea di cultura che nel frattempo si sono semplicemente fatti storia, una storia che è il nostro passato più prossimo, ma che è anche un mare difficile che la cultura e la politica devono, oggi come ieri, impegnarsi ad attraversare.
Rigore e passione
Severino Cesari metteva in piedi un’opera dinamica e drammatica, una struttura architettonica improntata a una netta istanza etico-culturale, che realizzava con il rigore e la passione che lo contraddistinguevano. L’obiettivo era rendere conto dei meccanismi che avevano portato alla nascita e all’affermazione di un modo di fare cultura che comunque avevano inciso significativamente su un’intera società. La traiettoria di Cesari interseca quella di Einaudi sul piano di un’idea: la costruzione di un modo di fare libri, che era anche l’idea della costruzione di un pubblico, di un mercato e di un linguaggio. Quella loro ‘opera’, che essi disegnano e attuano ciascuno in relazione al proprio tempo.
Si entra nel backstage di Via Biancamano. Di libri e collane vengono rievocati i momenti aurorali, le stagioni, i protagonisti, le discussioni, le mozioni d’ordine, gli esiti delle votazioni, attestati dai verbali puntualmente stesi in occasione delle riunioni, i famosi mercoledì, un’oasi per Giulio Einaudi che almeno in quel giorno non voleva sentire formulare le due domande più tetre: ‘quanto costa?’ e ‘quanto vende?’. Emerge un quadro complessivo e tridimensionale, generato dalla passione dei collaboratori, tutti fermamente governati dalla convinzione che il raggiungimento della conoscenza passasse attraverso la lettura di libri importanti. Einaudi insiste ripetutamente sulla priorità della cura del lavoro editoriale, esercitata in forma collegiale. Una cura che cominciava dalla decisione di approvare la stampa di un testo e proseguiva con la messa a punto di tutti gli aspetti materiali e grafici, la pianificazione del lancio e della commercializzazione. Mai due titoli simili, mai arrendersi alla pubblicazione di un testo solo perché vende: una segreta armonia governava l’alternarsi di proposte e i libri si succedevano «in un continuo gioco di echi, di suggestioni e di incroci che non trovo molto diverso dalla composizione di un brano musicale o dal lavoro di redazione di una rivista ben fatta». Difficile non ricordare quanto la parola ‘cura’ abbia rappresentato il segno della postura intellettuale e morale di Cesari fino all’ultimo.
Leggendario gruppo Monti
Einaudi è impegnato a rivendicare per la casa editrice uno statuto di organismo dotato di vita propria, risultante dalla giustapposizione degli spiriti che rappresentavano le diverse anime del leggendario ‘gruppo Monti’, gli ex studenti del Liceo torinese D’Azeglio, allievi del professore antifascista Augusto Monti (Ginzburg, Pavese, Bobbio, Foa, Geymonat, Argan, Antonicelli, Mila) e che si raccolsero intorno a Einaudi nell’impresa. A essi, com’è noto, si aggiunsero molti altri (Vittorini, Calvino, Natalia Ginzburg, Pintor, Cantimori, Cases, Bollati, Foà, Ponchiroli, Molina), e ciascuno di loro ha lasciato un’impronta significativa nel catalogo. Proprio il catalogo, infatti (cimelio prezioso per chi oggi lo possiede), rappresenta per Giulio Einaudi il libro migliore tra tutti quelli da lui pubblicati, la prova più evidente che un libro è il risultato di una ‘vocazione’ che incontra un’occasione’.
L’editore si rappresenta come un direttore d’orchestra, mentre Cesari continua a gettare luce sul suo ruolo autoriale rispetto a un progetto nel quale cultura e politica risultavano inscindibili. Einaudi, suggeriva Cesari, rivelava la «tentazione invincibile di guidare le anime», ma a queste sollecitazioni il principe continuava a rispondere aggiungendo altri episodi, altri nomi e altri titoli.