La crisi non si placa e arrivano al Cairo il vice di John Kerry, Bill Burns, dagli Stati uniti e l’Alto rappresentante dell’Unione europea Catherine Ashton. Il tentativo è di recuperare la frattura insanabile che spacca il paese favorendo il rilascio del deposto presidente Morsi. Un fuoco di fila incrociato aveva colpito l’ambasciatore statunitense al Cairo, Anne Patterson, per i suoi incontri con la leadership dei Fratelli musulmani precedenti al colpo di stato. Questo sembra il segno di una divaricazione tra presidenza degli Stati uniti (Obama aveva chiesto la revisione degli aiuti militari all’Egitto) e Pentagono (ha confermato la fornitura di F-16). E così, i diplomatici americani sembrano sempre più abbandonati a loro stessi nel tentativo di confrontarsi con il nuovo corso politico nei paesi delle rivolte in Nord Africa e Medio Oriente.

A sostenere senza se e senza ma la leadership di Morsi si sono schierati Turchia e Iran. In particolare, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha ribadito che Ankara continua a considerare Morsi come legittimo presidente. «Il mio presidente in Egitto è Morsi», aveva dichiarato ieri il premier turco Erdogan. In risposta, il presidente ad interim Adli Mansour ha mandato un messaggio al suo omologo turco Abdullah Gul, augurando stabili relazioni con Ankara. Mentre continuano ad arrivare promesse di aiuti finanziari per l’élite militare egiziana. Mikhail Bogdanov, ex inviato speciale di Putin in Medio oriente, non ha escluso l’invio di aiuti. Mentre due petroliere sono partite dal Kuwait con un carico del valore di 200 milioni di dollari di cui 1,1 milioni di barili di petrolio, parte dei 4 miliardi di dollari promessi dal paese del Golfo.

Ma a preoccupare le autorità del Cairo è il Sinai, dove è in corso una vera e propria guerriglia tra polizia, militari egiziani da una parte, e attivisti del movimento palestinese Hamas dall’altra. Anche se su questo punto non tutti concordano, sarebbero oltre 200 i morti negli scontri degli ultimi giorni e 40 i miliziani islamisti arrestati. Ieri tre persone sono rimaste uccise e altre 15 ferite in un attacco islamista contro un autobus che trasportava operai di un cementificio. I Fratelli musulmani hanno condannato l’attacco. «Gli atti di violenza contro i civili, la polizia e l’esercito nel Sinai sono pianificati dai servizi di sicurezza per nuocere alle proteste rivoluzionarie pacifiche», si legge in una nota della Fratellanza. Secondo il generale Ahmad Wasfy, comandante del corpo d’armata schierato nel Sinai, «nelle ultime settimane sono state smantellate numerose cellule criminali di Hamas nella regione».

Per tutta la giornata di ieri sono proseguite le marce degli islamisti che occupano da quindici giorni il largo viale antistante la moschea Rabaa El-Adaweya nel quartiere orientale del Cairo, Medinat Nassr. Elicotteri militari egiziani lanciavano volantini sul sit-in, invitando i manifestanti a smantellare le tende e «a tornare a casa». Anche se i principali leader della Fratellanza sono stati rilasciati su cauzione, ad eccezione dell’ex guida suprema Magdi Akef e del leader carismatico Khairat al-Shater, tutti i beni degli esponenti della confraternita sono stati congelati. Non solo, l’ex presidente della camera Saad al-Katatni, segretario del partito islamista Libertà e Giustizia, dovrà affrontare anche l’accusa di oltraggio perché ha rifiutato di pagare la cauzione disposta dalla corte per il suo rilascio.

Infine, alcune migliaia di esponenti delle opposizioni si sono date appuntamento a piazza Tahrir e al palazzo presidenziale di Ittihadya a Heliopolis a sostegno del nuovo governo provvisorio. Il premier incaricato Hesham El Beblawi ha proseguito i colloqui per la formazione dell’esecutivo la cui composizione sarà ufficializzata nei prossimi giorni. Per il ministero del Lavoro si fa il nome del presidente della Federazione egiziana dei sindacati indipendenti, Kamal Abu Eita.