A riassumere i retroscena sull’annuncio della candidatura alle presidenziali di aprile del generale Abdel Fattah Sisi è l’ex diplomatico filo-militare, Amr Moussa. «Sisi si sta accordando con l’esercito prima di scendere in campo», ha detto il candidato alle elezioni del 2012. Eppure esagerare le divisioni interne alle impenetrabili forze armate egiziane non ha mai portato molto lontano. L’unica certezza è un decreto del presidente ad interim Adly Mansour che ha conferito al ministro della Difesa la funzione di capo del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf). È curioso che sia proprio un presidente a lasciare questa funzione centrale, fin qui ricoperta dai capi di stato, ad un militare: segno del totale assoggettamento all’esercito della presidenza ad interim. La mossa viene interpretata da alcuni come la messa in sicurezza dei poteri del ministero della Difesa in caso di mancata candidatura di Sisi. Questo spiegherebbe i motivi del ritardato annuncio della candidatura dell’uomo forte dell’Egitto post-golpe. Non solo, conferisce allo Scaf un’autonomia assoluta dall’esecutivo, estendendo i poteri del ministero della Difesa, già ampiamente assicurati dalla nuova Costituzione, ma anche dalla presidenza, rendendo il nuovo capo di stato poco più che un mero esecutore delle volontà dei militari.

Eppure la candidatura di Sisi continua a essere molto probabile, per questo la mossa sarebbe l’ennesima conferma che il generale sta mettendo a punto un accordo con le alte uniformi che rassicuri l’esercito anche in caso di vittoria di un civile lontano dalle gerarchie militari. La stampa locale ha rivelato che nelle ultime settimane l’entourage di Sisi avrebbe esercitato pressioni sui più anziani, critici sull’accentramento dei poteri nelle mani del generale, tra i vertici di polizia, esercito e intelligence, per un pre-pensionamento, lasciandosi la strada spianata per approvare a leve spiegate la legge elettorale.

Invece, ad alimentare le speculazioni sul futuro di Sisi al ministero della Difesa è arrivato ieri il giuramento del nuovo governo dell’uomo di Mubarak, il premier pro tempore Ibrahim Mahleb. Tutti i ministri chiave sono stati confermati dagli Interni, alla Difesa, dal Turismo all’Economia. Spicca invece la nomina del giudice di Cassazione e critico verso la riforma delle toghe proposta dalla Fratellanza lo scorso anno, Nayer Abdel-Moneim Othman, a guida del dicastero della Giustizia.

I retroscena riferiscono anche di pressioni esercitate da Arabia saudita ed Emirati affinché Sisi resti al suo posto e non si candidi alle presidenziali, per favorire la distensione nelle relazioni con gli Stati uniti, che avevano criticato il golpe del 2013 e proceduto a un parziale congelamento degli aiuti militari all’Egitto. Queste ricostruzioni sono state corroborate dalla controversa dichiarazione televisiva dello Scaf, lo scorso febbraio, in cui si lasciava alla «libera volontà» di Sisi la sua eventuale candidatura.

Questi scontri intestini sarebbero in corso mentre crescono gli scioperi in tutto il paese. Secondo il sindacato del trasporto pubblico, toccherebbe il 90% l’adesione allo sciopero dei lavoratori dei trasporti per il salario minimo, che ha preso il via la scorsa settimana. Mentre è apparso ieri di nuovo dietro le sbarre l’ex presidente Mohammed Morsi nel processo in cui è accusato di spionaggio. Lunedì sarà esaminata la richiesta di ricusazione avanzata dai giudici.

Infine, le località turistiche del Sinai da Sharm el-Sheik a Taba restano off limits per i turisti. Lo confermano i ministeri degli Esteri di Italia, Belgio, Germania e Olanda sconsigliando i viaggi e limitando i voli nella regione per concreti rischi di attentati.