In Egitto si parla ancora di rivoluzione. Per l’anniversario della rivolta che il 25 gennaio 2011 ha rovesciato il regime di Mubarak, il giornalista e critico egiziano Muhammad Omar Janadi si interroga sull’influenza che il fenomeno ha avuto sulla letteratura egiziana contemporanea.

Attraverso la piattaforma online indipendente Mada Masr, ha invitato alla riflessione una serie di scrittori, chiedendo loro di raccontare, dal proprio punto di vista, quello che ha significato per l’ambiente culturale egiziano una delle rivolte più importanti della cosiddetta “primavera araba”.

Forse quello che ci manca di più della rivoluzione, ora che lo slancio iniziale è svanito, non sono tanto le marce, i sit-in e l’occupazione delle piazze, ma piuttosto il dialogo che aveva creato tra le persone. Tutti coloro che erano presenti in piazza Tahrir o nelle altre piazze egiziane dal 25 gennaio fino alla fine del 2011, hanno trascorso la maggior parte del tempo discutendo (talvolta anche in modo acceso) con chi avevano attorno. Il dialogo continuo è stato il percorso della rivoluzione per “scoprire se stessa” e gli ostacoli che l’aspettavano.

Attraverso le testimonianze raccolte, lo scrittore tenta di tornare sull’evento della rivolta e di interrogarsi su come ha influenzato il movimento letterario contemporaneo egiziano. Pone quindi ad alcuni scrittori una serie di domande, a partire da una fondamentale: “Cosa ha fatto la rivoluzione alla scrittura?”

Affidandosi all’esperienza di alcuni degli scrittori interpellati, che hanno già affrontato l’argomento nelle loro opere, Janadi chiede loro cosa cambierebbe se volessero sviluppare ora, nuovamente, la questione della rivoluzione. Quali nuovi spazi vorrebbero esplorare e quali idee o argomenti vorrebbero discutere? Come guardano alla situazione attuale della società egiziana?

Quali estetiche o generi/tipi letterari ha contribuito a creare la rivoluzione? Come si articola il rapporto tra il “centro” e la “periferia” nella vita culturale egiziana? Oppure: la rivoluzione ha minato l’autorità del “centro” e con essa quella dello standard letterario? O si tratta di una caratteristica della cultura globale contemporanea in generale?

Le risposte sono state diverse.

Shady Lewis: di grande rivoluzione e piccole rivoluzioni 

Shady Lewis Botros è uno scrittore egiziano di religione copta, autore di tre romanzi. Ha lasciato l’Egitto quando le condizioni di vita sotto il regime di Mubarak si stavano facendo difficili, e attualmente vive a Londra. Ha seguito la caduta del regime da lontano.

Comincia la sua riflessione citando un discorso proprio sulla letteratura e la rivoluzione, tenuto nel 1927 da Lu Xun, padre della letteratura cinese moderna, davanti agli studenti della Whampoa Academy. Lu Xun affermò che quando avviene una rivoluzione, non c’è letteratura: la marea rivoluzionaria inghiotte tutti, ed è un evento che sconvolge temporaneamente anche il mondo della cultura.

Ma solo una vera rivoluzione è in grado di cambiare la letteratura. Esistono anche delle piccole rivoluzioni che non modificano nulla delle strutture profonde della società, e quindi non possono operare un cambiamento a questi livelli.

Lewis sostiene: quel che è certo è che la rivoluzione egiziana non è riuscita a cambiare né radicalmente né tantomeno superficialmente le strutture della società. Al contrario, nella maggior parte dei casi ha adottato un approccio reazionario a tutti gli effetti. La caduta del regime non ha avuto un impatto tale da portare un cambiamento così forte a livello sociale e culturale, e di conseguenza nei temi e nei contenuti della letteratura.

Qualsiasi cosa possa essere cambiata in questo ambito negli ultimi dieci anni, nella visione di Lewis non sembra essere direttamente correlata al rovesciamento di Mubarak, ma ad altri fattori.

Per descrivere quello che secondo lui ha rappresentato la rivolta del 2011, Lewis si rifà di nuovo a Lu Xiun, per il quale la rivoluzione non dev’essere per forza un cambiamento eclatante. Lo scrittore cinese sostiene che ogni popolo è seriamente coinvolto in una rivoluzione ogni giorno, che può portare a cambiamenti graduali, ma a lungo termine.

“Questo è ciò che – afferma Lewis – penso sia accaduto e stia accadendo in Egitto in campo letterario, a prescindere dall’evento politico”.

Aggiunge lo scrittore che le idee di Lu Xun hanno avuto una grande influenza su Mao e sono state successivamente impiegate nella Rivoluzione Culturale cinese. E questo in seguito ha dimostrato, secondo Lewis, che anche una rivoluzione vittoriosa, che porta un cambiamento radicale della società, non conduce necessariamente a un cambiamento nella letteratura, ma la assoggetta al nuovo potere, che la relega al ruolo di propaganda.

“Ecco perché – sostiene – penso che qualsiasi cambiamento avvenuto nella letteratura abbia avuto inizio prima della rivoluzione. Il mutamento delle modalità di produzione e circolazione dei testi grazie alla diffusione capillare di Internet nell’ultimo decennio dell’era Mubarak, unito alla relativa tolleranza e al nuovo assetto giuridico, hanno consentito l’esistenza di giornali e canali indipendenti e privati, che hanno prodotto nuovi scrittori, o hanno offerto nuove opportunità a quelli già affermati. La situazione economica inoltre avvantaggiava alcuni segmenti sociali, la classe media infatti era all’epoca molto più coinvolta nella produzione e nel consumo di prodotti culturali”.

Queste condizioni, in un modo o nell’altro, contribuirono allo scoppio della rivoluzione e al cambiamento, nella letteratura e in altri aspetti della cultura. Le stesse condizioni sono state quindi origine sia della rivoluzione che del cambiamento letterario, in modo parallelo. Non è stato l’uno la conseguenza dell’altro, ma due fenomeni concomitanti.

Tant’è vero che lo scrittore sostiene di non vedere “un cambiamento radicale o molto evidente nella forma della produzione letteraria dopo la rivoluzione, né nel suo rapporto con il margine e il centro”. La verità è che il campo della letteratura è del tutto marginale, tutto quello che è successo dopo il 2011 è che questo campo si è un po’ ampliato, ha ottenuto più visibilità, ma può retrocedere di nuovo.

Alla fine, se osserviamo i nomi principali sulla scena letteraria odierna, scopriremo che provengono dalla generazione che pubblicava già negli anni Novanta, o dalla stampa letteraria, come Akhbar al-Adab – settimanale letterario egiziano – e altri. Fanno eccezione coloro che provengono dall’esterno del circolo letterario, ma “questo è un elemento che ha poco a che fare con la rivoluzione: nella storia della letteratura ci sono sempre stati”.

E continua: “L’autorità del centro, credo, è gradualmente crollata lungo gli ultimi dieci anni del governo di Mubarak, quando il ruolo dello Stato, piano piano, si indebolì. Prima di questo periodo, il Ministero della Cultura era il vero centro. Al giorno d’oggi invece ci sono molti centri sparsi: i numerosi premi letterari nel Golfo, il sostegno culturale delle istituzioni occidentali, le attività di traduzione, il recupero di case editrici private e la nascita di nuove, nonché l’emergere di laboratori di scrittura e l’ampia diffusione di siti web e forum”.

Secondo Lewis, il cambiamento nella produzione letteraria egiziana, quindi, c’è stato. Ma si è trattato di un fenomeno svincolato dalla rivolta, avvenuto in maniera graduale prima che questa scoppiasse. La rivoluzione può avere per un certo periodo stimolato questo fenomeno, ma da un punto di vista più ampio, ha finito in realtà per mettervi un freno.

“Ora, l’impatto maggiore della rivoluzione, in termini di contenuti, sembra essere dato dal suo fallimento e dalle conseguenze che si porta dietro. Sono apparse opere di letteratura carceraria, letteratura d’esilio, distopie e molti altri argomenti, ma tutto sembra essere dominato da questo sentimento di sconfitta”.

Ahmed Awny: autorità e fluidità  

Ahmed Awny è nato al Cairo nel 1988, e anche lui ora vive all’estero, in Germania. Secondo lo scrittore ci sono opere che non sarebbero esistite senza la Rivoluzione di gennaio, come viene chiamata in Egitto. Non tanto perché la raccontino, quanto perché ne conservano lo spirito, portano in sé la traccia del “momento della liberazione”.

Nella letteratura più recente, Awny trova qualcosa di nuovo. Non si può ancora parlare di nuovi “modelli”, ma alcuni riferimenti sembra stiano cominciando a cambiare: nella produzione letteraria egiziana non viene più rappresentata la figura della madre, per esempio, come immagine simbolica della patria. Ci sono visioni e rappresentazioni diverse del concetto di stato-nazione, ma anche di quello di “comunità”.

Diversi scrittori hanno rappresentato per molto tempo la società come un’unica massa oppressa, mentre ora, dice, la società è diventata attiva, ha iniziato a conoscersi e anche gli scrittori hanno iniziato a comprendere l’idea che l’autorità ha un sostegno sociale che viene dall’interno. Awny sottolinea la necessità di essere consapevoli che l’autorità tende ad attribuire mancanze e colpe alla società, mentre ignora di essere lei stessa a modellarne i punti di vista.

E non parla di autorità solo in senso politico, si riferisce più che altro a quella culturale: intellettuali, critici, scrittori, rappresentano in questo caso il “centro”. Ma per Awny, l’idea che quello che definisce come dominio tecnocratico debba essere applicato alla sfera culturale è fuori discussione.

Secondo lo scrittore, i giudizi dell’esperto, dell’intellettuale o del critico, possono trasformarsi in schemi repressivi. E questo è in completo contrasto con la ricchezza della letteratura e della cultura: “La ricchezza, nella sua accezione più ampia, non si raggiunge attraverso la produzione di poche opere di qualità, ma deriva dalla disponibilità, dal dialogo e dalla circolazione più democratica di opinioni e idee. Questa è la cosa più importante, e l’essenza della vera ricchezza è per lo scrittore proprio questo stato di liquidità”, nel senso baumaniano del termine.

E la rivoluzione ha sì contribuito alla liquidità, ma “questa era una condizione inevitabile, a causa del progresso tecnologico e mediatico. Paesi che non hanno avuto rivoluzioni hanno una situazione simile alla nostra”.

Awny si interroga sul significato della ricchezza della vita culturale e su come venga misurata: la produzione di opere letterarie di qualità può essere la misura della ricchezza culturale di un paese? Dice: “Se la nazionale di calcio, ad esempio, ha vinto la Coppa del Mondo, un tale risultato significa che il popolo egiziano è diventato un popolo atletico?”

D’altra parte, sostiene, la diversità può essere un grande vantaggio per la letteratura nell’industria editoriale, se non altro per mantenere attivo l’interesse verso il settore.

Sottolinea però che questa liquidità va oltre i libri. Fa l’esempio dell’attuale movimento femminista in Egitto: non può essere separato dalla rivoluzione, dice, perché ne è un prodotto e un’estensione. Così come anche il desiderio di molti gruppi sociali di esprimersi più liberamente è un lascito culturale della rivoluzione, e si trova oggi ad affrontare la crescente repressione da parte dello Stato e della stessa società.

Alla domanda di Janadi sui suoi progetti futuri, risponde così: “Il mio prossimo lavoro riguarda il concetto di ‘mascolinità’. Pensavo che non avesse nulla a che fare con la rivoluzione, ma mi sono reso conto di essere partito proprio da un avvenimento ad essa correlato, e dall’energia liberatoria che ne è scaturita” si riferisce alla situazione politica del 2013, anno del colpo di stato contro Morsi, e a quella che definisce mascolinità politica.

“Anche questa analisi – conclude – non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione”.

(qui la seconda parte)