Le violenze non si placano in Egitto. Secondo la Fratellanza, sono oltre 17 le vittime degli scontri tra islamisti e polizia per la prima di una serie di giornate di protesta. La così detta «settimana dell’ira» culminerà l’8 gennaio prossimo. È il giorno della seconda udienza del processo che vede imputato il deposto presidente Morsi, con l’accusa di aver ordinato violenze contro i manifestanti negli scontri del palazzo presidenziale di Ittihadeya nel dicembre 2012.

Il bilancio fornito dal ministro della Salute degli scontri di ieri è meno grave e riferisce di 6 vittime, mentre il ministero dell’Interno ha confermato l’arresto di 122 sostenitori della Fratellanza. Secondo le autorità egiziane, tre attivisti pro-Morsi sarebbero morti nel quartiere di Nassr City, uno in scontri tra sostenitori e oppositori della Fratellanza ad Alessandria e due nella città di Ismailia.

Le misure di sicurezza erano state rafforzate in tutte le città egiziane per la contestazione che è stata annunciata ieri dagli islamisti, nonostante la legge vieti manifestazioni senza un preavviso di tre giorni e il permesso del ministero degli Interni. In vista delle proteste, centinaia di poliziotti in assetto anti-sommossa hanno raggiunto piazza Tahrir, Rabaa el Adaweya, Mourad e via Ahram nel governatorato di Giza, a pochi chilometri dal centro del Cairo. Proprio lungo via Ahram, a causa del lancio di alcune bottiglie molotov, da parte di un gruppo di attivisti non identificati, una camionetta della polizia è andata in fiamme nel pomeriggio di ieri. Contemporaneamente, alcuni islamisti si sono diretti verso l’abitazione della famiglia di Mahmoud Badr, uno dei fondatori del movimento Tamarrod (ribelli) che il 30 giugno 2013 aveva organizzato la manifestazione che chiedeva le dimissioni di Morsi, aprendo la strada al colpo di stato del 3 luglio scorso.

I primi scontri sono scoppiati nella mattina di ieri al Cairo, nel quartiere Faysal e alle porte dell’Università Al Azhar, dove lo scorso 29 dicembre è stato appiccato un incendio. Qui la polizia ha fatto uso di lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Stesse scene si sono verificate nel quartiere Roxy di Heliopolis. Contestazioni hanno avuto luogo anche nei governatorati tradizionalmente a maggioranza islamista di Menoufiya, Sharqiya e Dakahliya. Proprio nella città del Delta di Mansoura, l’attentato del 24 dicembre scorso aveva causato la morte di 16 poliziotti e provocato la condanna della Fratellanza, dichiarata «movimento terroristico» secondo il diritto penale egiziano. Infine, le violenze di ieri hanno colpito anche il Sinai. Tre esplosioni hanno preso di mira un convoglio militare e della polizia egiziana nel nord del Sinai, ferendo quattro soldati. L’attacco è avvenuto vicino alla città di Sheikh Zuweid, al confine con la Striscia di Gaza.

Come se non bastasse, in vista del referendum del 14 gennaio, il maggiore gruppo di opposizione, il cartello che unisce laici, nasseristi e liberali del Fronte di salvezza nazionale è vicino allo scioglimento. Il sindacalista Hamdin Sabbahi ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali, ma alcuni esponenti del cartello elettorale hanno assicurato che appoggeranno un candidato diverso da Sabbahi. In particolare l’ex diplomatico Amr Moussa si era detto favorevole alla discesa in campo dal capo delle forze armate Abdel Fattah Sisi. Infine, otto attivisti, tra cui la socialista rivoluzionaria Mahiennour Masry, più volte intervistata dal manifesto, sono stati condannati a due anni di prigione per aver organizzato una manifestazione non autorizzata nel giorno dell’anniversario della morte del simbolo delle rivolte del 2011, il giovane Khaled Said.