Non ci sono quasi più turisti in Egitto. Le località di villeggiatura normalmente colme di vacanzieri per la classica crociera sul Nilo, al mare nelle località del Sinai o tra le rovine dei siti archeologici hanno dato forfait. I primi ad avere abbandonato il paese in stato di emergenza sono proprio gli italiani. La Farnesina ha esteso l’allerta per i turisti in tutto l’Egitto. Chi si trova nei grandi resort è stato avvertito di non uscire a causa dello strettissimo stato di emergenza e del coprifuoco. Non solo, gli aerei partono dall’Europa completamente vuoti.
Nel 2010 l’Egitto contava 15 milioni di turisti. Dopo le rivolte del 2011, sono diventati 10 milioni, dopo una timida crescita lo scorso anno, è molto probabile che questa stagione estiva farà registrare un nuovo record negativo nel principale settore occupazionale del paese, con 3 milioni di impiegati.
I dati economici preoccupanti avevano subito suscitato l’allarme internazionale dopo il colpo di stato del 3 luglio scorso. L’agenzia Fitch aveva immediatamente declassato il rating egiziano da B a B-. La decisione era dovuta all’instabilità politica del paese, con possibili ripercussioni sui risultati e la fiducia degli investitori. Solo poche ore prima erano suonati anche i campanelli di allarme dell’agenzia di investment banking, Merrill Lynch che dava al paese al massimo sei mesi prima del baratro economico e la fuga di tutti gli investitori stranieri. Sono addirittura peggiori le considerazioni sullo stato dell’economia egiziana di Moody’s e Standard&Poor’s. Entrambe le agenzie di rating concordano che il paese non vale più di un CCC+: molto vicino a uscire da ogni classifica.
Questa crisi economica senza precedenti mette in fuga anche alcune aziende italiane che hanno grandi interessi al Cairo. In particolare Italcementi, il cui fatturato dipende per il 18-20% dallo stato dell’economia egiziana. Come se non bastasse, anche Crédit Suisse ha tagliato le raccomandazioni sui titoli di Italcementi assumendo lo scenario peggiore in caso di aggravamento della crisi egiziana. Secondo l’istituto elvetico, Italcementi non potrà riprendere la produzione a pieno regime a causa dell’instabilità. Per questo, ha rivisto il taglio delle stime tra il 2013 e 2014 legato al volume di affari in Egitto di circa il 30% mentre le previsioni sui margini di gruppo vengono ridotte del 3-5%. E i titoli dell’azienda bergamasca perdono colpi a Piazza Affari, nonostante i dirigenti minimizzino il calo della produzione.
Ma con il sanguinoso scontro di Rabaa el-Adaweya e l’imposizione dello stato di emergenza, tutte le attività economiche si concentrano per poche ore al giorno. L’accesso al credito e alla valuta straniera si è prosciugato. Il governo ha ristabilito sussidi per i proprietari terrieri e piccoli contadini, ma l’assenza di sicurezza non rimette in moto l’economia, provata da due anni e mezzo di continue manifestazioni. Molte industrie hanno ripreso a lavorare dopo il blocco parziale delle loro attività. Ma l’interruzione del flusso consueto di diesel a prezzi calmierati e gasolio, dovuta all’assenza di dollari, ha determinato il conseguente aumento delle importazioni di prodotti petroliferi dall’estero. Hanno ripreso a lavorare anche le industrie del cemento e dell’acciaio, dopo una serie continua di scioperi che hanno determinato la dura repressione dell’esercito.
La crisi non sta colpendo allo stesso modo piccole e grandi imprese. «L’anno scorso abbiamo avuto una performance migliore degli anni precedenti», spiega Taher Gargour, manager delle ceramiche Lecico.
Le piccole imprese hanno avuto quindi effetti meno evidenti sulle loro economie di scala rispetto alle aziende multinazionali. Questo è avvenuto a causa degli alti costi di importazione. E così la scarsa presenza di valuta straniera rende più costoso importare. Il circolo vizioso provoca una chiara diminuzione nei prestiti assicurati dalle banche con conseguenti richieste di garanzie più ampie, con un tasso di interesse che supera il 18% oltre le tasse e i costi amministrativi.