La Corte penale di Giza ha condannato a morte altri 183 sostenitori dei Fratelli musulmani con l’accusa di aver attaccato la stazione di polizia di Kerdasa nell’agosto del 2013, in seguito alla dura repressione subita dai sostenitori dell’ex presidente Mohamed Morsi. Nell’attacco persero la vita 16 poliziotti, 34 dei condannati non erano presenti in aula al momento della lettura della sentenza. Lo scorso dicembre, la stessa corte aveva condannato a morte 188 sostenitori dell’ex presidente Morsi per lo stesso episodio. L’attacco alla stazione di polizia di Kerdasa è diventata per i media pubblici e i sostenitori del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il simbolo dell’uso della violenza da parte degli islamisti contro la polizia.

Quelle immagini brutali sono state per mesi rilanciate dalla tv di Stato per giustificare la repressione del regime contro tutti gli islamisti, come se non esistessero distinzioni tra moderati e terroristi. Il gran-mufti della massima istituzione sunnita, al Azhar potrebbe commutare le pene in ergastolo. Lo stesso era avvenuto con i 528 e 683 imputati, inclusi i principali leader della Fratellanza (lo stesso Morsi rischia la forca), condannati a morte dalla Corte di Minya per gli scontri che hanno avuto luogo nella città dell’Alto Egitto dopo lo sgombero di Rabaa. Di queste, 220 pene capitali sono state approvate in via definitiva dai giudici egiziani.

Nell’ultima analisi periodica all’Onu sui diritti umani in Egitto, Germania, Ungheria, Francia, Svizzera e Uruguay hanno sottolineato le violazioni sistematiche commesse, chiedendo al governo di cancellare la pena di morte dal codice penale. La nuova condanna di massa arriva a poche ore dal rilascio e dall’estradizione del giornalista australiano di al-Jazeera.

Peter Greste è uno dei tre giornalisti della televisione del Qatar condannato con le accuse di aver diffuso false informazioni in riferimento alla copertura del sit-in islamista di Rabaa. Il collega egiziano-canadese di Greste, Mohamed Fahmy, potrebbe essere rilasciato una volta cassata la sua cittadinanza egiziana, mentre il terzo, Bader Mohamed, condannato a dieci anni, resterà in carcere. Il presidente del sindacato dei giornalisti Diaa Rashwan ha chiesto poi a tutti reporter egiziani di deferire ogni collega critico nei confronti di esercito e polizia. Al-Sisi ha così risposto alle pressioni internazionali che chiedevano il rilascio dei giornalisti della televisione del Qatar. Anche il presidente degli Stati uniti

Obama aveva chiesto ad al-Sisi spiegazioni sui processi contro i giornalisti di al Jazeera nel primo incontro dello scorso settembre a Washington. A dicembre la rete televisiva al Jazeera Mubasher Misr (Egitto in diretta), con sede a Doha in Qatar, ha chiuso i battenti. Il canale era rimasto il solo a difendere l’ex presidente islamista Morsi continuando a definire «golpista» l’ex generale al-Sisi.

Non solo, la televisione del Qatar era rimasta la sola a coprire le diffuse manifestazioni anti-golpe degli ultimi mesi in tutto il mondo. Anche questa decisione ha facilitato il rilascio di Greste. Per mesi sono stati sotto accusa per «diffusione di notizie false» anche i reporter britannici di al Jazeera, Dominic Kane e Sue Turton, e la giornalista olandese Rena Netjes che hanno lasciato l’Egitto. A novembre, al-Sisi ha assunto per decreto il potere di grazia di cittadini stranieri nelle carceri egiziane, un escamotage architettato per consentire il rilascio di Greste. Ieri sono stati amnistiati 312 prigionieri politici, ma 516 sono gli arresti solo in seguito agli scontri per il quarto anniversario dalle rivolte del 2011.