Non ha davvero precedenti l’udienza farsa nel corso della quale sono state emesse ieri 528 condanne a morte di sostenitori dei Fratelli musulmani. È partito lo scorso sabato il maxi-processo che per la prima volta nella storia egiziana coinvolge ben 1200 imputati, tutti affiliati al movimento islamista. Le udienze sono in corso in sei diverse aule di tribunale a Minia, capoluogo dell’Alto Egitto.

La drammatica condanna è arrivata in appena tre giorni. Solo 147 imputati erano presenti al momento della lettura del verdetto. Gli avvocati dei condannati hanno apertamente accusato i giudici di non aver neppure ascoltato la versione della difesa.

Gli imputati sono accusati dell’omicidio del vice comandante della stazione di polizia del distretto di Matay, Mostafa al Attar, del tentato omicidio di altri due poliziotti, di attacchi a edifici pubblici, di aver dato fuoco alla stazione di polizia e trafugato armi. L’episodio si riferisce agli scontri successivi allo sgombero forzato, imposto dall’esercito, del sit-in islamista di Rabaa al Adaweya che nell’agosto scorso ha causato quasi mille morti. Tra i condannati figura la Guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohammed Badie e l’ex presidente del parlamento, Saad al Katatni. Gamal Eid, direttore della Rete araba per i diritti umani, non ha esitato a definire il verdetto un «disastro» e uno «scandalo» per l’Egitto. I condannati potranno presentare appello in secondo grado.

La mano dura di Sisi

Si aggrava la repressione dell’opposizione islamista. I Fratelli musulmani, che hanno legittimamente vinto le elezioni parlamentari e presidenziali del 2012, sono stati dichiarati movimento terroristico dopo l’attacco alla stazione di polizia di Mansura che ha causato lo scorso 24 dicembre la morte di 16 agenti. L’intera leadership del movimento è in prigione, incluso l’ex presidente.

Mohammed Morsi, accusato di spionaggio, evasione e violenza contro i manifestanti, sta affrontando quattro processi farsa in cui avvocati e giudici si sono ripetutamente rifiutati di proseguire nella discussione in aula. Morsi viene costantemente ridicolizzato mentre vengono rese pubbliche ore di intercettazioni telefoniche e ambientali in cui i Fratelli musulmani avrebbero rivelato segreti di Stato ad Hamas e all’Iran.

E così, la mobilitazione di piazza del maggiore partito di opposizione è ripresa da una settimana insieme alla costante repressione delle forze di sicurezza. L’Università islamica di Al Azhar, incendiata in parte nel dicembre scorso, è un fortino inespugnabile. Nei giorni scorsi Mustafa Kamel, un giovane islamista di 18 anni è stato ucciso ad Alessandria, con un colpo di arma da fuoco alla testa. Cinque sono stati i morti tra i sostenitori del movimento alle porte della diga di Qanater, periferia del Cairo.

Le violazioni dei diritti umani in Egitto preoccupano non poco attivisti e ong. Lo scorso 7 marzo, i rappresentanti dell’Unione europea avevano inviato una lettera (non firmata dall’Italia) al Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani (Unhrc) in cui si condannava la repressione dei manifestanti.

Giornalisti alla sbarra

Come se non bastasse, è ripreso ieri il processo contro 20 giornalisti di Al Jazeera, accusati di far parte dei Fratelli musulmani, fuori legge dal dicembre 2013. Tra gli arrestati figura il reporter austriaco Peter Greste. Eppure è arrivata nella giornata di domenica la notizia del rilascio del blogger Alaa Abdel Fatteh e di Ahmed Rahman. Alaa era in carcere dallo scorso novembre per aver violato la legge anti-proteste che impedisce l’organizzazione di assembramenti non autorizzati.

Nonostante le vicende giudiziarie, prosegue a vele spiegate la marcia del ministro della Difesa Abdel Fattah Sisi verso la presidenza della Repubblica. A preparare la piattaforma elettorale per il generale Sisi è l’ex diplomatico Amr Moussa. Tecnici ed esperti sono stati chiamati a raccolta per la stesura del programma che secondo Moussa avrà lo scopo di «modernizzare lo stato».

Esercito diviso?

Eppure l’esercito egiziano non sembra convinto di lasciare tutto nelle mani di Sisi, che lo scorso febbraio è volato a Mosca per strappare il sostegno del presidente russo Vladimir Putin alla sua candidatura. Per questo, il capo dello Staff dell’esercito, Sedki Sobahi (scampato ad un attentato nei giorni scorsi) ha incontrato il luogotenente generale dell’aviazione Usa, John Hesterman per discutere degli aiuti militari di Washington all’Egitto, in parte congelati dopo il colpo di stato del 3 luglio scorso.

Per correre ai ripari, Sisi ha disposto un avvicendamento all’interno dell’esercito: il maggiore generale Mohamed al Shahat ha sostituito Ahmed Wafsy a guida della divisione che si occupa del Canale di Suez e del Nord del Sinai.