Non festeggiare la Liberazione «è una carognata. A Salvini dico che la lotta alla mafia a Corleone la può fare il 24 o il 26 aprile. Un vicepresidente del consiglio della repubblica fondata sulla costituzione figlia della resistenza non può avere questa boria: l’ha fatto per beccarsi i voti dei fascisti. Se Salvini ha la libertà di parlare, di dire le sue stronzate è perché in tanti abbiamo combattuto i fascisti».

Nome di battaglia Efistione – «me l’ha dato il mio comandante Aldo “Jacopo” Cucchi perché scherzando lo chiamavo Alessandro Magno ed io ero il suo braccio organizzativo» – Gastone Malaguti è il penultimo sopravvissuto dalla mitica settima Gap, la brigata comunista Stella Rossa, divisione che scacciò i tedeschi nella battaglia di porta Lame a Bologna il 7 novembre del 1944. A 94 anni è ancora attivissimo. «Andare nelle scuole è la cosa che mi piace di più: i ragazzi la vivono come una novità, sono curiosi di sapere, mi tempestano di domande. Si crea subito simpatia, io parlo poco e lascio spazio a loro. L’ultima volta che sono andato al liceo Socrate sono tornato a casa senza voce».

La curiosità nasce però in gran parte dalla poca conoscenza della materia. «Soprattutto chiedono di come era la vita al tempo della resistenza, perché ho deciso di fare quella scelta, se la mia famiglia era d’accordo. Sono molto interessati al discorso delle staffette partigiane, sono increduli quando scoprono il ruolo delle donne nella resistenza, come Irma Bandiera che a Bologna era la più coraggiosa di tutte e fu torturata e uccisa perché non disse niente ai fascisti. Mi sembra comunque di cogliere un vuoto di informazione sulla resistenza e sulla lotta partigiana: a scuola non se ne parla, al massimo sanno qualcosa dai nonni. La situazione comunque è grosso modo uguale rispetto a 10 anni fa o giù di lì».

Gastone entrò nella Resistenza a soli 17 anni e i motivi spiegano molto bene come sia fatto questo bolognese trapiantato a Roma per carriera sindacale in Cgil, dall’accento e lessico emiliano intatto: «Mio zio fu mandato al confino per molti anni»; «a scuola uno dei miei migliori amici fu espulso per le leggi razziali»; «mio padre fu picchiato dalle camicie nere e tornò a casa con la camicia tutta insanguinata perché si rifiutò di testimoniare il falso per mandare al confino un suo lavorante».

Il 25 aprile sarà al corteo romano percorrendo a piedi l’ultimo tratto verso quella Porta San Paolo teatro di un’altra battaglia eroica. «I cortei del 25 aprile vanno fatti perché diversamente si perderebbe un altro riferimento. Il comandante Bulow Arrigo Boldrini mi diceva sempre: “Se non ci fosse stata la partecipazione della gente noi non avremmo vinto, per ogni partigiano c’erano almeno 30 persone che ci aiutavano”. Ed è ancora così: siamo la maggioranza e non dobbiamo sentirci più deboli nonostante Salvini».

Per mantenersi maggioranza Gastone sostiene essere fondamentale tramandare la storia e i valori della resistenza ai giovani. «I tempi sono cambiati, i giovani non hanno conosciuto la dittatura. Ma anche nel dopoguerra la libertà ha oscillato in Italia: mi ricordo i tempi di Scelba quando anche nella rossa Bologna era vietato manifestare e mi sono preso le manganellate della polizia. Oggi la libertà di manifestare c’è, ci sono altri rischi e comunque vedo un ritorno della voglia di mobilitarsi contro i rigurgiti fascisti».

Il caso di Lorenzo «Orso» Orsetti morto in combattimento per liberare un’altra terra il Rojava merita una risposta articolata. «È difficile fare paragoni. Io rispetto molto chi sacrifica la vita in nome di un ideale. Prima di noi partigiani in molti sono andati in Spagna a difendere la repubblica in nome dell’internazionalismo. Durante la Resistenza molti vennero a combattere in Italia, noi per 6-7 mesi avemmo Johnny, un pilota americano il cui aereo era stato abbattuto ad Anzola Emilia. I contadini lo misero in contatto con noi e lui ha combattuto al nostro fianco fino alla liberazione. Mi ricordo che mi diede i due rettangoli che erano i suoi gradi di tenente perché diceva che se l’avessero fermato l’avrebbero riconosciuto come americano. Glieli ridiedi il 21 aprile, giorno della liberazione di Bologna: lui in cambio ci portò stecche di sigarette avute dagli americani arrivati in città. Quel giorno fu il più bello della mia vita: si realizzava il sogno della libertà».