In Toscana l’impatto dell’emergenza coronavirus sul tessuto economico è di difficile previsione, comunque l’assessore regionale al bilancio, Vittorio Bugli, in una comunicazione al consiglio, ha stimato un calo atteso delle produzioni fra il 25 e il 50%. Un quadro drammatico, soprattutto per i settori più colpiti dal lockdown: il turismo, il commercio e la ristorazione.

“Mentre tengono – ha osservato Bugli – la logistica, le pulizie e il lavoro portuale”. Oltre naturalmente al settore agroalimentare, in particolare quello legato alla grande distribuzione organizzata. In una regione che “fattura” circa 100 miliardi annui di pil, di cui circa il 40% legato all’export, e un altro 10% a un turismo che dovrà attendere anni per rialzare la testa, non è passato in sordina l’appello di Enrico Rossi perché sia dato il via libera alle imprese più orientate all’export (con il personale su due turni): “Quelle più sottoposte alla concorrenza internazionale, dalla meccanica alla cantieristica, oltre al settore moda della concia e del tessile, alla ceramica e al settore orafo”. Sono circa quattromila imprese, che impiegano 100mila addetti.

Per certo le disposizioni del decreto “Cura Italia” hanno coinvolto in Toscana circa 650mila addetti appartenenti alle attività non essenziali, cioè il 41% dei lavoratori toscani. Di qui il boom degli ammortizzatori sociali, con 32.633 richieste di autorizzazione alla cassa integrazione in deroga da aziende con unità produttive in Toscana, per oltre 81mila addetti. Quanto ai settori di provenienza, per il 30% sono del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, per circa il 27% dalle attività dei servizi di alloggio e ristorazione, e l’11% per le attività professionali. A questi vanno aggiunti gli artigiani: Ebret, l’ente bilaterale dell’artigianato toscano, ha dato il via ai pagamenti della cassa integrazione artigiana chiesta da circa 16mila aziende, per quasi 70mila lavoratori dell’artigianato.

Va da sé che sono i lavoratori più “fragili” quelli che stanno subendo le conseguenze più dure del lockdown, in primis i cosiddetti atipici. Solo a Firenze, Fiom e Nidil Cgil hanno calcolato che 2.000 lavoratori sono a rischio per la cessazione dei contratti a termine o di somministrazione, o per la rescissione dei contratti commerciali degli staff leasing. Uno dei casi più eclatanti è quello dei 20 lavoratori in somministrazione della Gkn di Campi Bisenzio, cui l’azienda metalmeccanica con una semplice mail ha disdettato il pur recentissimo contratto di staff leasing (un contratto a tempo indeterminato presso l’agenzia).

Il licenziamento sarà operativo dal 26 maggio, e sulla vicenda sia Toscana a Sinistra con Tommaso Fattori che Serena Spinelli (Leu) e Monia Monni (Pd) hanno denunciato più volte la situazione alla giunta Rossi, chiedendo di intervenire con forza. Quanto alle non poche aziende che in Toscana erano già “sospese” prima dell’emergenza coronavirus, non va dimenticata la ex Bekaert di Figline Valdarno.

Nei giorni scorsi è stato siglato un ulteriore accordo che proroga la cigs per cessazione di attività per ulteriori nove settimane, così la scadenza della cigs è stata spostata a fine agosto, guadagnando un altro poco di tempo al tavolo ministeriale dove sono arrivate le offerte di Trafilerie Meridionali spa e, soprattutto, di una cooperativa di lavoratori ex Bekaert con un progetto industriale teso a mantenere la storica produzione di steel-cord per pneumatici.

Brutte nuove invece alla Vibac di Vinci, dove 80 dei 120 addetti andranno in cigs per 14 mesi e solo 40, nel tempo, resteranno in fabbrica. Da segnalare infine l’incredibile caso di un lavoratore di una cooperativa che opera a Borgo San Lorenzo e Scarperia negli appalti dell’igiene ambientale, licenziato dopo aver chiesto i dispositivi di protezione individuale, ora difeso da sindacati di base e da Toscana a Sinistra.