Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? L’Unione europea, che è diventata un’arena dove va in scena una rissa continua tra stati e tra i governi e i propri cittadini, è riuscita a trovare un minimo comun denominatore per un’intesa sulla politica climatica all’orizzonte 2030. Se si entra però nei dettagli dell’accordo, c’è delusione, perché le ambizioni sono state ridotte per ottenere il consenso di tutti.

Ci sono volute otto ore di discussioni, per arrivare a un’intesa nella notte, a tempo ampiamente scaduto, visto che il pacchetto Energia-clima avrebbe già dovuto essere approvato dal Consiglio la scorsa primavera. L’Unione europea, in continuità con il programma in vigore fino al 2020, si impegna su quatro punti: 1) ridurre «almeno del 40%» le emissioni di Co2 entro il 2030 (rispetto ai valori del 1990); 2) portare la parte delle energie rinnovabili nel mix energetico europeo al 27%; 3) realizzare il 27% di economie energetiche, per una migliore efficacia e 4) investire sulle reti energetiche – che interessano soprattutto la penisola iberica – per un migliore interconnessione (che dovrà essere migliorata del 15%).

Le rinnovabili al 27% sono un impegno vincolante, mentre l’efficienza energetica è non vincolante. L’aspetto positivo, ha sottolineato Angela Merkel, è che questo accordo disegna «un quadrodecisivo», che permetterà prima di tutto di permettere «all’Europa di parlare con una sola voce» ai prossimi negoziati internazionali, che culmineranno con il summit sul clima organizzato dall’Onu, che si terrà a Parigi nel dicembre 2015.

Per François Hollande, che punta al successo del vertice di Parigi ottenendo concessoni da Usa e Cina, – i principali produttori di Co2, rispettivamente 16% e 29%, contro l’11% della Ue – si tratta di «un accordo ambizioso per la terra». Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo al suo ultimo appuntamento (verrà sostituito a dicembre da Donald Tusk), parla addirittura di politica «la più ambiziosa al mondo».

Le minacce di Putin nella crisi ucraina, le guerre in Medioriente e la pressione della crisi economica hanno convinto i 28 della necessità di operare per una politica energetica comune e per più indipendenza in questo settore-chiave dell’economia. Hollande ha collegato l’impegno sull’energia con la promessa del nuovo presidente della Commissione dal prossimo novembre, Jean-Claude Juncker, dei 300 miliardi di investimenti: sono «indissociabili» dalla decisione sul clima, per il presidente francese. Per convincere i paesi più reticenti – all’est, Polonia in testa – che giudicavano troppo costosa la riconversione a causa della loro forte dipendenza dal carbone, gli stati più ricchi si sono impegnati a costituire un «fondo», versando una percentuale (minima, il 2%) dei proventi delle vendite delle quote di Co2 nel mercato europeo.
I politici plaudono all’accordo, mentre le organizzazioni ambientaliste restano molto critiche. Greenpeace parla di «modesti obiettivi», mentre «la lotta globale ai cambiamenti climatici richiederebbe un trattamento shock».

Greenpeace sottolinea soprattutto «la frenata sulle energie pulite», un impegno ad aumentarne la percentuale che resta non vincolante per gi stati membri. Per non parlare del nucleare, che resta ai margini dell’accordo. Secondo Oxfam, il Consiglio si è accontentato di «un’azione insufficiente da parte dei paesi più ricchi», che «fa pesare il fardello sulle popolazioni più povere, più colpite dai cambiamenti climatici e meno responsbaili della crisi». L’eurodeputato Philippe Lambers, capogruppo Verde, sottolinea il «rallentamento del ritmo della transizione energetica» ridotto a metà, un «errore ecologico e un errore economico».

Il gruppo S&D ammette che si aspettava «maggiore ambizione» e vuole vedere nell’accordo di ieri «un punto di partenza» che permetterà di «fare di più». Legambiente parla di «occasione sprecata». E critica la presidenza italiana del Consiglio, che si conclude a fine anno: «l’Italia si è limitata a svolgere un ruolo semplicemente notarile di presidente di turno – sottolinea il presidente Vittorio Cogliati Dezza (il suo commento completo qui accanto)- non è stata in grado di resistere alla lobby del fossile». Del resto, l’Italia non sta neppure rispettando gli impegni presi per il 2020, di riduzione del 20% di gas a effeto serra. L’Europa si presenta come un «modello» per il mondo, ma scegliendo obiettivi al ribasso impedirà di raggiungere le riduzioni di emissioni di Co2 necessarie per evitare il surriscaldamento e il disordine climatico.